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Capitolo 5

Conclusioni

Il report presentato riassume i principali risultati della ricerca commissionata da ONBSI alla Fondazione per la Sussidiarietà e svolta in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.

Questo studio ha evidenziato due aspetti rilevanti: innanzitutto la disponibilità di un dato a livello nazionale, che ha consentito di poter svolgere il progetto basandosi su tutti i bilanci delle aziende pubbliche operanti sul territorio nazionale, attraverso un dato amministrativo regolarmente fornito dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Questa prima rilevanza risulta essenziale perché la disponibilità di dati pubblici di tipo amministrativo consente a priori di ipotizzare un sistema di monitoraggio nel tempo sull’andamento del fenomeno analizzato. Infatti, questo consente di superare la necessità di una survey da sottoporre agli ospedali, che comporterebbe, peraltro, il rischio di un dato approssimativo se non distorto e quindi un bias all’origine che potrebbe condurre a risultati inconsistenti.

Secondariamente, le analisi svolte hanno confermato le ipotesi di partenza, vale a dire come la spesa sanitaria per igiene e pulizie negli ospedali pubblici italiani, aggiustata per opportune caratteristiche degli ospedali stessi, sia in contrazione. Da questo punto di vista è ipotizzabile che l’avvento del Covid-19 nel 2020 abbia invece dato impulso a una maggiore spesa, resasi necessaria per garantire una sanificazione degli ambienti ospedalieri al fine di ridurre i rischi di contrarre la malattia sia per i degenti sia per il personale. Sarebbe quindi interessante un’analisi di confronto tra gli anni pre Covid-19 con gli anni 2020 e 2021 e osservare successivamente il 2022 e il 2023 per capire come un possibile effetto Covid-19 sia divenuto un fattore di stimolo per un rialzo degli investimenti ospedalieri in igiene e pulizie.

In ogni caso il dato più rilevante che emerge dalle nostre analisi è una scarsa correlazione tra le spese a bilancio dedicate all’igiene e alle pulizie e le caratteristiche ospedaliere direttamente collegabili a un maggiore rischio di ICA. Questo dato rimarca la necessità per le aziende ospedaliere di valutare quanto l’allocazione di risorse sia direttamente correlata al loro rischio intrinseco di incidenza delle ICA, non solo per il principale rischio che queste implicano per i pazienti, ma anche per una mera questione di opportunità legata alla perdita di risorse economiche che le ICA comportano.

Infine, un risultato rilevante riguarda anche l’analisi dei costi sociali. Abbiamo, infatti, osservato come le aziende ospedaliere che investono maggiormente in igiene e pulizie sono anche quelle che riducono l’incidenza sia della mortalità sia dell’eccesso di giornate di degenza. Questo conferma come le spese a bilancio per igiene e pulizie risultino al contempo un fattore che migliora l’efficacia e l’efficienza ospedaliera.

Capitolo 4

Relazione sulle implicazioni medico-legali e giudiziarie connesse a un inefficiente controllo delle infezioni correlate all’assistenza con riferimento alla giurisprudenza di merito e di cassazione

Capitolo a cura di Fidelia Cascini. Indagine svolta a completamento del progetto della Fondazione per la Sussidiarietà intitolato “Le infezioni correlate all’assistenza: studio etiologico dei patogeni e delle sepsi, loro distribuzione territoriale, valutazione dei fattori e dei costi correlati”.

Introduzione

4.1 La rassegna della giurisprudenza
Cassazione Civile
Cassazione Penale
Tribunale di Merito

4.2 Considerazioni conclusive

Introduzione

Il tema delle infezioni correlate all’assistenza (ICA) presenta notevoli profili di complessità, tanto in ambito medico-legale quanto in ambito giuridico. Può essere infatti molto difficile individuare la causa specifica e, conseguentemente, l’antecedente causale di un’infezione e, soprattutto nei soggetti fragili (tra cui anziani, immunodepressi, neonati), ancor più difficile è la distinzione tra gli esiti connessi all’infezione e quelli dovuti alle preesistenze patologiche del paziente. A ciò si aggiunga che il rischio di contrarre infezioni in ragione di un rapporto clinico-assistenziale non può essere azzerato anche con le migliori prassi di prevenzione e che è in aumento il problema dell’antimicrobico resistenza, ossia del fenomeno che rende inefficaci i farmaci utilizzati per uccidere i microrganismi patogeni, fatto che determina ogni anno decine di migliaia di morti (circa 50.000 decessi solo in Europa e negli USA), secondo il Piano Nazionale di Contrasto dell’Antimicrobico-Resistenza 2017-2020 che sottolinea in proposito l’importanza della prevenzione.

Tutti i tipi di farmaci antimicrobici (antibiotici, antifungini, antivirali, antiparassitari), originariamente creati e risultati efficaci per curare le infezioni, possono infatti, nel tempo, perdere di efficacia terapeutica rendendo impossibile la cura dei malati infetti, in relazione all’uso improprio che si fa attualmente di questi in ambito sanitario (sia umano che veterinario) e in ragione di una evoluzione del microrganismo stesso che impara ad adattarsi a un ambiente ostile per sopravvivere. Si parla in proposito di meccanismo di competizione biologica. Poiché, infatti, gli antimicrobici sono molecole naturali prodotte da alcuni microbi per difendersi da altri microbi presenti in natura, per ogni antimicrobico di origine naturale esiste già un meccanismo di resistenza presente in natura. L’introduzione degli antimicrobici, soprattutto antibiotici, in ambito clinico, genera allora una pressione selettiva favorendo la selezione di microrganismi resistenti, che sta assumendo proporzioni incontrollabili.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO. Antimicrobial resistance: global report on surveillance 2014), questa è una delle maggiori minacce per la salute pubblica a causa dell’impatto epidemiologico ed economico del fenomeno. L’impatto epidemiologico è legato all’incremento della morbosità e della mortalità connesse alle infezioni causate da batteri antibiotico-resistenti che, in assenza di interventi tempestivi e validi, secondo alcune stime (Jim O’Neill, Wellcome Trust and UK Government, Antimicrobial Resistance: Tackling a crisis for the health and wealth of nations, in The Review on Antimicrobial Resistance, December 2014), potrebbe aumentare nei prossimi anni, fino a causare nel 2050 la morte di 10 milioni di persone all’anno. La presenza di infezioni correlate all’assistenza caratterizzate da antimicrobico resistenza ha inoltre conseguenze dirette sul piano economico, non solo legate alla perdita di vite e di giornate lavorative, ma anche a causa di un maggiore utilizzo di risorse sanitarie per il prolungamento delle degenze, il maggiore utilizzo di procedure diagnostiche, nonché la ricerca di preparazioni antimicrobiche diverse e spesso più costose per arrivare a essere efficaci.

Tutto ciò ha, inevitabilmente, effetti anche in ambito medico-legale e giuridico, in considerazione sia della diffusione del contenzioso in materia, sia (soprattutto) delle problematiche relative alla ripartizione dell’onere probatorio tra paziente e struttura, nonché del conseguente accertamento della responsabilità. Nell’ambito delle ICA trovano applicazione – in assenza di regole speciali – i criteri generali per l’accertamento della responsabilità sanitaria. Pertanto, in primo luogo, va accertata la sussistenza di una relazione causale tra la prestazione sanitaria e l’infezione (che solo in caso positivo può dirsi “nosocomiale”); successivamente, va verificato se la condotta della struttura ospedaliera presenti profili di colpa causalmente ricollegabili al contagio, ovvero se quest’ultimo dipenda da una circostanza non imputabile.

Sotto il profilo medico-legale, caratteristica prioritaria è che l’infezione debba essere cronologicamente riconducibile a un ricovero anche se, da un punto di vista causale, assume maggiore rilevanza la tipologia del patogeno interessato, comprendendo il termine ICA varie entità nosologiche. Il fatto che l’infezione si sia manifestata dopo la dimissione non esclude, infatti, la sua origine ospedaliera, come risulta dalla definizione di infezione riportata dall’Istituto Superiore di Sanità:

“Si definiscono così, infatti, le infezioni sorte durante il ricovero in ospedale, o dopo le dimissioni del paziente, che al momento dell’ingresso non erano manifeste clinicamente né erano in incubazione…”. (Tribunale di Siena, sentenza n.1199/2017).

“Infezioni insorte nel corso di un ricovero ospedaliero, non manifeste clinicamente né in incubazione al momento dell’ingresso e che si rendono evidenti 48 ore o più dal ricovero e le infezioni successive alla dimissione, ma casualmente riferibili, per tempo di incubazione, agente eziologico e modalità di trasmissione, al ricovero medesimo” (Corte d’Appello di Catanzaro, sentenza n.1446/2018).

“Tutte le infezioni riconducibili a tutti i momenti assistenziali della pratica clinica, anche non strettamente ospedalieri, infezioni che per essere definite tali, devono essere insorte in un paziente ricoverato nell’ambito della rete di sorveglianza che al momento dell’ammissione al ricovero non presentava segni di una infezione o di una sua incubazione o l’agente eziologico e le modalità di trasmissione, nonché il periodo di incubazione, devono essere compatibili con l’intervallo di tempo intercorso tra l’esposizione all’agente responsabile e la comparsa della malattia”. (Tribunale di Palermo, sentenza n.5124/2017).

Le peculiarità del fenomeno infettivo rendono, d’altronde, la prova liberatoria a carico della struttura sanitaria particolarmente complessa; è importante, allora, chiarire quando la condotta della struttura possa effettivamente portare a un’esclusione della responsabilità e, correlativamente, cosa debba essere provato.

A tal fine, è opportuno passare in rassegna alcune significative sentenze che si sono occupate del tema, allo scopo di orientare operatori sanitari e manager della sanità impegnati nella definizione delle proprie prassi interne a tener conto della attuale situazione. Occorre rilevare che la prova del corretto adempimento della prestazione che l’organizzazione sanitaria è chiamata a esibire, deve interessare due aspetti: il primo riguardante l’adozione di tutte le cautele previste dalle leges artis per prevenire l’insorgenza di patologie infettive correlate all’assistenza; il secondo consistente nella prescrizione di un trattamento terapeutico adeguato in seguito al contagio. La prova liberatoria deve, cioè, considerare attentamente le circostanze del caso, fornendo esempi specifici delle cautele in concreto adottate (esempi che devono emergere anche dalla cartella clinica), non bastando una prova generica e decontestualizzata rispetto alla fattispecie in questione (quale, appunto, l’adozione di protocolli in materia di prevenzione, disinfezione, sterilizzazione e lo svolgimento di verifiche a campione della disinfestazione).

4.1 La rassegna della giurisprudenza

Cassazione Civile

La giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione è orientata nel senso di richiedere al paziente la sola dimostrazione di avere avuto un contatto con una determinata struttura sanitaria per un trattamento astrattamente idoneo a determinare un’infezione nosocomiale, o più in generale un’infezione correlata all’assistenza, e i suoi postumi e la prova del danno in seguito alla permanenza in quella determinata struttura.

Alla struttura sanitaria spetta, invece, dimostrare la diligenza del suo operato e dei propri operatori, la speciale difficoltà dell’intervento, l’imprevedibilità di un determinato evento e che questo si sia verificato per cause di forza maggiore, indipendenti dal suo comportamento, ovvero la mancanza di nesso di causa tra evento e operato dell’ospedale/struttura sanitaria.

Cassazione civile sez. VI, 02/09/2019, n.21939: In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare – secondo il criterio del “più probabile che non” – l’esistenza del nesso causale tra l’azione o l’omissione dei sanitari e l’evento di danno (aggravamento della patologia esistente o insorgenza di una nuova malattia).

Sent. cass. 8 aprile 2020 n. 7760: Nel processo civile vige il principio del “più probabile che non”: “In tema di responsabilità civile la verifica del nesso causale tra la condotta omissiva e il fatto dannoso consiste nell’accertamento della probabilità, positiva o negativa, che la condotta omessa, se si fosse tenuta, avrebbe evitato il rischio specifico di danno; accertamento da compiersi secondo un giudizio controfattuale. Il giudizio, che opera sostituendo l’omissione con il comportamento dovuto, deve compiersi secondo il criterio del ‘più probabile che non’, conformandosi a uno standard ‘…di certezza probabilistica’ (che) in materia civile non può essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascaliana), che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificata riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana)”.

Cassazione civile sez. III, n. 6386/2023: Il criterio da adottare nelle valutazioni del nesso di causalità non è quello della “certezza del rapporto causa-effetto” ma “il modello di ricostruzione del nesso causale fondato sul giudizio di probabilità logica, o del più probabile che non, da utilizzare al fine di verificare la sussistenza del nesso causale tra condotta ed evento danno. Alla stregua di tale criterio, occorre verificare, sulla base di un ragionamento ipotetico di natura controfattuale, la rilevanza eziologica dell’omissione, per cui occorre stabilire se il comportamento doveroso che la struttura avrebbe dovuto tenere sarebbe stato in grado di impedire o meno l’evento lesivo, secondo un criterio appunto probabilistico e tenuto conto di tutte le risultanze del caso concreto nella loro irripetibile singolarità – giudizio da ancorarsi non esclusivamente alla determinazione quantitativo-statistica delle frequenze di classe di eventi (cd. probabilità quantitativa), ma soprattutto all’ambito degli elementi di conferma disponibili nel caso concreto (cd. probabilità logica). (v. Cass n. 21530 del 2021).

Cassazione civile sez. III, 10 dicembre 2012, n. 22379: “Allorché venga accertata la natura nosocomiale di una infezione per la presenza di un batterio nell’ambiente ospedaliero, la responsabilità è da imputarsi alla struttura ospedaliera”.

Cassazione civile sez. III, 26/07/2017, n.18392: In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile e inevitabile con l’ordinaria diligenza. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta dalla vedova di un paziente deceduto, per arresto cardiaco, in seguito a un intervento chirurgico di asportazione della prostata cui era seguita un’emorragia, sul rilievo che la mancata dimostrazione, da parte dell’attrice, della riconducibilità eziologica dell’arresto cardiaco all’intervento chirurgico e all’emorragia insorta, escludeva in radice la configurabilità di un onere probatorio in capo alla struttura). (conf. 29853/2018, 9853/2018, 27455/2018, 27449/2018, 27447/2018, 27446/2018, 26700/2018, 20812/2018, 22278/2018, 20905/2018, 19204/2018, 19199/2018, 18549/2018, 18540/2018, 5641/2018, 3704/2018, 3698/2018, 29315/2017, 26824/2017).

Cassazione civile sez. III, n. 28991 dell’11 novembre 2019: Sentenza del cosiddetto “decalogo di San Martino 2019”, sulla base della quale: “In tema di inadempimento di obbligazioni di diligenza professionale sanitaria, il danno-evento consta della lesione non dell’interesse strumentale alla cui soddisfazione è preposta l’obbligazione (perseguimento delle leges artis nella cura dell’interesse del creditore) ma del diritto alla salute (interesse primario presupposto a quello contrattualmente regolato); sicché, ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, la causa imprevedibile e inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione” (conf., Cass. civ., 23 ottobre 2018, n. 26700; Cass. civ., 15 febbraio 2018, n. 3704; Cass. civ., 7 dicembre 2017, n. 29315; Cass. civ., 26 luglio 2017, n. 18392).

Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28992: Ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica, o l’insorgenza di nuove patologie, e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, che una causa imprevedibile e inevitabile ha reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione.

Cassazione Sez. III, n. 11599 del 15 giugno 2020: Sul nesso di causalità materiale in materia di infezioni, decisione conforme al principio di diritto della sent. 28991/2019: “A fronte della prova del nesso di causalità fornita correttamente dalla paziente, la semplice produzione, da parte della struttura sanitaria, dei protocolli ospedalieri per le medicazioni in fase post-operatoria è ritenuta, quindi, insufficiente”.

Ordinanza della Cassazione, n. 17696 del 25 agosto 2020: In tema di responsabilità della struttura ospedaliera, in relazione al decesso di una paziente avente come causa finale uno shock settico, tuttavia, l’evento non avrebbe avuto inizio se non ci fosse stata un’infezione da stafilococco aureo inclusa espressamente dalla stessa CTU “tra le concause della morte” della paziente: in mancanza dell’infezione originaria, la sopravvivenza della paziente agli esiti della caduta accidentale sarebbe stata “più probabile che non”. “L’insorgenza di un’infezione del genere non può considerarsi un fatto né eccezionale né difficilmente prevedibile. E l’onere della prova di avere approntato in concreto tutto quanto necessario per la perfetta igiene della sala operatoria è, ovviamente, a carico della struttura.” Pertanto, la Cassazione rileva che, a seguito del ricovero della paziente, gravavano sulla struttura sanitaria una serie di obbligazioni di natura contrattuale e tra queste, “pacificamente […] anche l’obbligazione di garantire l’assoluta sterilità non soltanto dell’attrezzatura chirurgica ma anche dell’intero ambiente operatorio nel quale l’intervento ha luogo. La responsabilità della struttura sanitaria per il fatto degli ausiliari di cui si avvale si estende dunque alla condotta di tutti gli operatori chiamati a dare il proprio contributo all’operatività della struttura stessa. Se non risulta prospettata la possibilità che l’infezione possa avere un’origine diversa da quella nosocomiale, secondo la Cassazione, infatti, deve darsi per accertata, anche se in via presuntiva, la dimostrazione da parte dei danneggiati che il contagio sia avvenuto in ospedale. Ciò che rileva, a tal proposito, è che l’Azienda ospedaliera dimostri la regolarità dell’operato dei suoi ausiliari, anche in relazione alle operazioni di sterilizzazione dell’ambiente operatorio. Alla luce della giurisprudenza suindicata, infatti, una volta dimostrata, da parte del danneggiato, la sussistenza del nesso di causalità tra l’insorgere (in questo caso) della malattia e il ricovero, era onere della struttura sanitaria provare l’inesistenza di quel nesso (ad esempio, dimostrando l’assoluta correttezza dell’attività di sterilizzazione) ovvero l’esistenza di un fattore esterno che rendeva impossibile quell’adempimento ai sensi dell’art. 1218 del codice civile.

Cassazione civile sez. III, 23/02/2021, n.4864: In applicazione dei principi sul riparto dell’onere probatorio in materia di responsabilità sanitaria elaborati dalla Suprema Corte, secondo cui spetta al paziente provare il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre alla struttura sanitaria compete la prova di aver adempiuto esattamente la prestazione o la prova della causa imprevedibile e inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione, con riferimento specifico alle infezioni nosocomiali, spetterà alla struttura provare di: 1) aver adottato tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative e dalle leges artis, al fine di prevenire l’insorgenza di patologie infettive; 2) dimostrare di aver applicato i protocolli di prevenzione delle infezioni nel caso specifico.

Cassazione civile sez. III, n. 6386/2023: In caso di infezioni nosocomiali “ai fini dell’affermazione della responsabilità della struttura sanitaria, rilevano, tra l’altro, il criterio temporale – e cioè il numero di giorni trascorsi dopo le dimissioni dall’ospedale – il criterio topografico – i.e. l’insorgenza dell’infezione nel sito chirurgico interessato dall’intervento in assenza di patologie preesistenti e di cause sopravvenute eziologicamente rilevanti, da valutarsi secondo il criterio della cd. ‘probabilità prevalente’ – e il criterio clinico – volta che, in ragione della specificità dell’infezione, sarà possibile verificare quali, tra le necessarie misure di prevenzione era necessario adottare”. La sentenza specifica poi gli oneri probatori gravanti sulla struttura, sui soggetti apicali, e fornisce indicazioni al medico legale per la sua indagine.

Cassazione Penale

Cass. pen.,sez. IV, n. 33770/2017: Le infezioni nosocomiali non sono sempre idonee a interrompere il nesso con la prima causa, in quanto considerate eventi prevedibili ed evitabili, perché tipiche conseguenze della permanenza all’interno della struttura. Valutazione dei casi specifici.

Sez. 4, Sentenza n. 25689 del 03/05/2016, Rv. 267374 – 01 (Annulla senza rinvio, App. Torino, 22/01/2014): È configurabile l’interruzione del nesso causale tra condotta ed evento quando la causa sopravvenuta innesca un rischio nuovo e incommensurabile, del tutto incongruo rispetto al rischio originario attivato dalla prima condotta. (Nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione che aveva affermato la sussistenza del nesso causale tra l’errore chirurgico originario, che aveva ridotto la paziente in coma profondo, e il decesso della medesima per setticemia contratta durante il lungo ricovero presso l’unità di terapia intensiva, rilevando come l’ “infezione nosocomiale” sia uno dei rischi tipici e prevedibili da tener in conto nei casi di non breve permanenza nei raparti di terapia intensiva, ove lo sviluppo dei processi infettivi è tutt’altro che infrequente in ragione delle condizioni di grave defedazione fisica dei pazienti).
Massime precedenti Conformi: N. 43168 del 2013 Rv. 258085 – 01, N. 17804 del 2015 Rv. 263581 – 01, N. 33329 del 2015 Rv. 264365 – 01, N. 15493 del 2016 Rv. 266786 – 01

Tribunale di Merito

Tribunale Agrigento, 02/03/2016, n.370: in un caso di infezione nosocomiale contratta in occasione di interventi chirurgici per il trattamento di una frattura al piede. In particolare, il Giudice ha rilevato la corretta somministrazione della terapia antibiotica e della profilassi pre e post operatoria, ma ha ritenuto che mancasse la prova sia della preesistenza dell’infezione sia dell’efficace asepsi della strumentazione chirurgica e degli ambienti ospedalieri; e ciò nonostante nella struttura ospedaliera fosse presente uno specifico organismo di gestione e controllo delle infezioni ospedaliere e una convenzione con l’istituto di Igiene della facoltà di Medicina dell’Università degli Studi di Palermo, per la consulenza e il controllo delle infezioni ospedaliere e il monitoraggio ambientale delle aree a rischio infettivo.

Tribunale di Milano, sentenza n. 1007 del 5 febbraio 2020: In mancanza di prova in ordine alla effettiva sterilità dei locali in cui fu eseguito l’intervento e della strumentazione utilizzata, così come in ordine ai protocolli adottati per la prevenzione di infezioni ospedaliere ed alle verifiche e precauzioni adottate a tal fine, sia la struttura sia i medici vanno considerati responsabili per l’infezione nosocomiale contratta dal paziente. Le indagini tecniche svolte nel procedimento hanno confermato che la presenza di Escherichia Coli fosse “assai probabilmente” riconducibile a inquinamento perioperatorio, in quanto “nessuna prova è stata offerta in ordine alla effettiva sterilità dei locali in cui fu eseguito l’intervento e della strumentazione utilizzata […] i convenuti non hanno fornito indicazione alcuna in ordine ai protocolli adottati per la prevenzione di infezioni ospedaliere, né i medici convenuti – entrambi operatori nell’intervento de quo e dunque tenuti a operare con la dovuta prudenza e diligenza – hanno dato atto delle verifiche e precauzioni adottate a tal fine”.

Tribunale di Milano, sez. I, ord. 9 aprile 2019, n. 2728: In relazione a un’infezione occorsa all’esito di un intervento chirurgico agli arti inferiori per un problema settico che ha comportato la necessità di ulteriori interventi. Il Tribunale – a fronte di una CTU che ha affermato la sicura natura nosocomiale dell’infezione, pur nell’incertezza in ordine alla sua specifica causa – ha ritenuto che le prove fornite dalla struttura sanitaria non fossero idonee a escludere la colpa della stessa nella determinazione dei danni. Invero, nonostante la convenuta abbia genericamente dimostrato di aver adottato linee guida e protocolli diretti a evitare le infezioni nosocomiali, è mancata la prova che, nel caso specifico, tali protocolli siano stati scrupolosamente osservati, in quanto dalla cartella clinica e dalla check list preoperatoria non è emerso il rispetto di tutte le attività di prevenzione.

Tribunale di Roma, Sez. XIII, con sentenza pronunciata nel procedimento R.G. n. 34214-2012 e pubblicata in data 27-09-2018: Le infezioni ospedaliere non sono colpa di chi ha curato il paziente, ma della struttura dove è stato curato: il tribunale ha condannato un’azienda ospedaliera a risarcire un paziente per aver contratto durante un ricovero e come conseguenza di questo, un’infezione che lo aveva costretto a sottoporsi a ulteriori interventi chirurgici. Il nosocomio è quindi responsabile se non può dimostrare di aver fatto tutto il necessario per evitarle e l’azienda va condannata a risarcire il paziente. Linee guida e protocolli sono inutili se non si vigila “quotidianamente, nei modi possibili e fattibili, sull’applicazione di esse sul campo, cosa che avviene di rado”. Nel caso in esame il paziente non si lamentava dell’intervento, ma dell’infezione ospedaliera per la quale chiedeva un risarcimento e l’ospedale si costituiva contestando la domanda ed evidenziando che al paziente erano state somministrate le migliori terapie per debellare l’infezione insorta, mentre non c’era nessuna correlazione con l’infezione insorta e diagnosticata e l’operazione. Una prima perizia rilevava il nesso causale tra l’intervento e l’infezione della ferita da considerarsi a tutti gli effetti ospedaliera, tuttavia, reputava che l’infezione non fosse attribuibile a malpractice medica quanto a carenze strutturali e organizzative dell’ospedale. Il giudice disponeva una nuova consulenza secondo la quale: – non c’erano dubbi che il batterio fosse di origine ospedaliera; – il contagio presupponeva una qualche carenza, una deficienza di attenzione e di messa in opera in ordine alle procedure di sanificazione e di asetticità che devono costantemente garantire la sicurezza del paziente contro i contagi da infezioni nella struttura ospedaliera. Una volta accertato quindi che il paziente abbia contratto l’infezione, si legge nella sentenza, “in virtù dei principi che regolano l’onere della prova, in materia contrattuale non vi può essere alcun dubbio che incombe alla struttura ospedaliera provare di avere adottato tutte le misure utili e necessarie per una corretta sanificazione ambientale, al fine di evitare la contaminazione. In altre parole l’AO doveva fornire la prova che l’evento dannoso (contagio) non rientra tra le complicanze prevedibili ed evitabili. Qual è il modo di adempiere a tale prova negativa? Quello di fornire la prova positiva di aver fatto tutto quanto la scienza del settore ha finora escogitato per evitare o quanto meno ridurre al massimo il rischio di contaminazione e di diffusione del contagio”. (Conf. ad es., Trib. Roma, sez. XIII, n. 22130 del 2017; Trib. Roma, n. 14729 del 2017).

Trib. Roma, sez. XIII, n. 37466/2012: In cui la struttura sanitaria non ha fornito prove dell’adozione nel caso specifico degli strumenti di prevenzione atti a evitare potenziali infezioni in tutta la fase di permanenza presso la struttura ospedaliera, fornendo peraltro solo indicazioni e schede del tutto generiche, non in grado di dimostrare una specifica e puntuale opera di sanificazione volta alla riduzione del rischio e in linea con lo stato di conoscenze nel settore.

Corte Appello Venezia, sez. IV, 12 giugno 2017, n. 1233: “In linea di fatto, non è contestato che l’appellante si sia sottoposto a operazione di artroprotesi al ginocchio sinistro in conseguenza delle lesioni all’articolazione subite in occasione dell’incidente stradale. Sussiste nesso causale tra il fatto illecito e l’ulteriore evento lesivo, rappresentato dalla sepsi, sviluppatasi a causa dell’impianto protesico e perciò di origine nosocomiale, che non può considerarsi evenienza eccezionale e atipica, tale da integrare causa sopravvenuta autonoma e imprevedibile, atta a escludere il nesso causale, ai sensi e per gli effetti dell’art. 41, comma 2, c.p. Non rileverebbe in senso opposto, ove anche dimostrata, l’eventuale imperizia o negligenza da parte dei sanitari, che abbia causato o favorito l’insorgenza della sepsi poiché la colpa del sanitario, ancorché grave, non può ritenersi causa autonoma e indipendente rispetto al comportamento dell’autore dell’illecito”.

Tribunale Taranto, sent. n.2241/2019: Nel caso di specie, il Tribunale ha evidenziato come il Giudicante ha evidenziato che nella fattispecie l’Asl non avesse dimostrato l’“osservanza dei protocolli universalmente riconosciuti come efficaci per la prevenzione delle infezioni in ambiente ospedaliero, dalla quale soltanto può discendere la non riconducibilità della complicanza infettiva a condotte positivamente riferibili alla struttura sanitaria”.

Tribunale Bologna, 13 ottobre 2017, n. 2231: Concernente un caso di artroprotesi del ginocchio con conseguente infezione, che ha comportato la rimozione della protesi e il reimpianto della stessa in due differenti interventi chirurgici. Il Tribunale, facendo proprie le considerazioni dei consulenti tecnici, ha rilevato la difficoltà dell’accertamento del nesso causale in relazione ai fenomeni infettivi (che possono essere determinati da innumerevoli momenti produttivi), ma contemporaneamente ha individuato una serie di indici tali da far ritenere, nel caso di specie, altamente probabile la relazione causale e l’effettiva contaminazione del sito chirurgico. È emersa, nella fattispecie, una condotta negligente della struttura che ha permesso di affermare che le pratiche di medicazione della ferita chirurgica non siano avvenute in condizioni di totale asetticità e, dunque, pur essendo astrattamente vero che non è possibile elidere completamente il rischio di infezioni anche nel più rigoroso rispetto delle regole di asepsi, le condizioni in cui è avvenuto l’intervento hanno reso altamente probabile l’imputabilità del contagio alla condotta dei sanitari.

Trib. Bari, sent. 10 marzo 2009, n. 827: Ha ritenuto responsabile la struttura ospedaliera per il danno biologico riportato da una paziente che, sottopostasi a un intervento di cataratta all’occhio destro, ha contratto un’endoftalmite da Pseudomonas aeruginosa con conseguente enucleazione bulbare e sostituzione protesica. il riconoscimento della responsabilità della struttura si è fondato sulla mancata dimostrazione della preesistenza dell’infezione nella paziente, sull’accertata natura nosocomiale dell’infezione nonché sulla “mancata dimostrazione della, non già effettiva, bensì efficace sterilizzazione delle attrezzature”.

Trib. Genova n.1456/2017: In cui si afferma che il rischio di contrarre infezioni ospedaliere non possa essere posto a carico del paziente, configurando così una sorta di roulette russa a danno di chi si reca presso tali strutture proprio per farsi curare.

Trib. Genova, n. 9924/2014: In cui la struttura sanitaria è stata condannata anche in virtù di deficit e carenze sugli specifici documenti in tema di sterilizzazione e disinfezione degli ambienti, mancando inoltre le linee guida della Direzione Sanitaria e del Comitato infezioni ospedaliere circa l’infezione de qua.

Trib. Latina, sez. II, 28 settembre 2020, n. 1757: In forza del contratto atipico di spedalità e di assistenza sanitaria la struttura sia tenuta a tenere i corretti comportamenti di prevenzione del rischio infettivo, adatti a ciascun caso concreto.

Corte appello, Genova, sez. II, 24/11/2021, n. 1194: L’ente ospedaliero è tenuto, una volta che il paziente è stato ricoverato, ad adottare un modello organizzativo e di prevenzione finalizzato a evitare, o perlomeno ridurre, il rischio di insorgenza di infezioni di tipo nosocomiale, per tutta la durata del ricovero e ad apprestare cure e trattamenti terapeutici adeguati al contagio; all’ente, quindi, spetta dimostrare di aver adottato e rispettato tutte le procedure per una adeguata asepsi (misure di prevenzione e di profilassi), così da far escludere la sussistenza di alcun profilo di colpa e ricondurre l’infezione all’interno di quella percentuale di casi non evitabili e rientranti nel c.d. rischio consentito.

Corte appello, Napoli, sez. VII, 28/01/2020, n. 350: Incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’insorgenza di una nuova malattia e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile e inevitabile con l’ordinaria diligenza (fattispecie in tema di responsabilità della struttura sanitaria per infezione nosocomiale contratta durante intervento chirurgico).

4.2 Considerazioni conclusive

La rassegna giurisprudenziale dimostra che in materia di ICA, la struttura ospedaliera convenuta può essere esonerata da responsabilità se è in grado di fornire un’adeguata prova liberatoria, sicuramente difficile ma pur sempre possibile. Nel caso in cui tale prova dovesse riuscire, le conseguenze pregiudizievoli dell’infezione dovrebbero ricadere interamente sul paziente e/o suoi eredi, attori nel giudizio (e a stretto rigore, anche le spese processuali), sebbene possa essere appurato che il contagio sia avvenuto in occasione del trattamento sanitario. Tuttavia, ragioni di giustizia sostanziale unite alle difficoltà probatorie, hanno indotto alcuni Tribunali ad applicare grossolanamente un regime di responsabilità – di fatto – oggettivo, per cui, all’accertamento del nesso causale tra trattamento sanitario e infezione, consegue direttamente (e indipendentemente dal comportamento virtuoso o meno della struttura) l’affermazione della responsabilità. Tale approccio, seppur comprensibile viste le reali problematiche che si pongono in quest’ambito, non è tuttavia giustificato in assenza di un regime di responsabilità di tipo oggettivo.

Parte della dottrina e della giurisprudenza continuano inoltre a interrogarsi sull’efficacia della responsabilità civile in ambito sanitario, in relazione sia alla sua funzione di deterrence che di compensation.

Il modello della responsabilità civile – pur presentando oggettive difficoltà, legate soprattutto alle peculiarità del settore sanitario, in generale, e di quello infettivo, in particolare –può svolgere un’importante funzione deterrente, sollecitando un controllo bottom up da parte non solo dei fruitori delle prestazioni ma anche dello stesso personale medico, che dovrebbe attivarsi per denunciare le carenze della struttura e per sensibilizzare gli organi direttivi sui programmi di prevenzione. Le strutture ospedaliere dovrebbero essere più attente al tema della prevenzione delle infezioni nosocomiali, promuovendo l’istituzione di organismi interni di qualità e l’applicazione di protocolli in tema di igiene ospedaliera; ciò, come si è detto, non è sufficiente per andare esenti da responsabilità, ma rappresenta sicuramente un importante punto di partenza.

La soluzione migliore pare, allora, quella della responsabilità civile, con la facoltà perla struttura convenuta di fornire la prova liberatoria, prova che deve essere specifica ed effettivamente idonea, ma pur sempre concretamente possibile; laddove, poi, la struttura riesca a soddisfare il proprio onere probatorio, allora sì che il danno subito in conseguenza dell’infezione nosocomiale potrebbe essere indennizzato da un fondo statale ad hoc, in ossequio al compito dello Stato di tutelare la salute dei consociati (art. 32 Cost.) e del principio sancito nell’art. 1 della legge n. 24/2017 (M. Vanini, La prova liberatoria nella responsabilità da infezioni nosocomiali. Onere di allegazione e prova del danno patrimoniale e non patrimoniale, www.ridare.it, 4 novembre 2019). Questo fondo statale – analogo a quello istituito dalla l. n. 210/1992 a favore dei soggetti passivi di esiti permanenti a seguito di vaccinazioni obbligatorie e contagi da somministrazione di sangue ed emoderivati – avrebbe, così, natura sussidiaria, operando limitatamente alle ipotesi in cui l’ente ospedaliero riesca a provare la non imputabilità dell’evento.

Di valore superiore rispetto alla soluzione riparativa del danno, sia essa risarcitoria o indennitaria, resta la strategia della prevenzione del danno mediante la gestione del rischio. La Legge 24/2017 sulla sicurezza delle cure ha, non a caso, richiamato l’attenzione sull’importanza di consolidare, a livello istituzionale nazionale, l’attività di promulgazione di linee guida basate sull’evidenza scientifica e raccolte in raccomandazioni, al fine di meglio indirizzare le attività sanitarie di prevenzione, che interessano tra gli altri ambiti anche quello delle ICA. L’esercizio normativo ha aperto la prospettiva della valorizzazione delle evidenze scientifiche mediante linee guida e della condivisione delle buone pratiche. In questo quadro s’inseriscono anche le raccomandazioni nazionali attualmente disponibili su sanificazione e disinfezione degli ambienti sanitari che, già disponibili (Associazione Nazionale dei Medici delle Direzioni Ospedaliere (a cura di), Linea Guida sulla valutazione del processo di sanificazione ambientale nelle strutture ospedaliere e territoriali per il controllo delle Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA), 2018. Disponibile sul sito ANMDO; Linee di indirizzo sulla valutazione del processo di sanificazione ambientale nelle strutture ospedaliere e territoriali per il controllo delle Infezioni Correlate all’Assistenza, disponibile sul sito ANMDO), attendono solo di essere diffusamente applicate. L’evoluzione delle conoscenze scientifiche in materia di tecniche e prodotti per la disinfezione, consentirà poi l’aggiornamento di queste raccomandazioni alla luce di emergenti scoperte scientifiche di settore (G.E. Calabrò, E. Caselli, C. Rognoni, P. Laurenti, U. Moscato, M.L. Di Pietro, M.R. Gualano, F. Cascini, F.D’Ambrosio, F. Pattavina, S. Vincenti, A. Maida, R. Mancini, S. Martinelli, C. Amantea, V.F. Corona, A.Daniele, A. Paladini, M.F. Rossi, E. La Gatta, L. Petrella, V. Puleo, R. Tarricone, W. Ricciardi, Valutazione di Health Technology Assessment del sistema di sanificazione biologico a base di probiotici del genere Bacillus (PCHS) [Health Technology Assessment of the Probiotic Cleaning Hygiene System (PCHS)], in J Prev Med Hyg., 16 novembre 2022,63(3 Suppl 1): E1-E123. Italian. doi: 10.15167/2421-4248/jpmh2022.63.3s1. PMID: 36819908; PMCID: PMC9910312).

Capitolo 3

Studio delle infezioni

3.1 Analisi per tipo di ospedale

3.2 Analisi geografica

3.3 Analisi dei costi sociali

3.4 Analisi delle schede di Dimissione Ospedaliera
3.4.1 Il caso delle infezioni ortopediche post-operatorie
3.4.2 L’analisi retrospettiva sulle SDO
3.4.3 Descrizione dei risultati
3.4.4 Relazione tra spesa per igiene e pulizia e ICA

Studio delle infezioni

Questo capitolo si concentra sullo studio delle ICA in termini aggregati. Il dato analizzato comprende la media delle ICA osservate nelle aziende ospedaliere pubbliche negli anni dal 2016 al 2019. In particolare le ICA sono state identificate nelle schede delle dimissioni ospedaliere di un sottogruppo della popolazione dei ricoverati con fratture di femore, selezionata in base a codici diagnosi e procedure ICD-9-CM di interesse. La scelta di questo sottogruppo è dovuta al rischio aumentato di contrarre ICA in ragione dell’età avanzata della maggior parte dei fratturati di femore e del trattamento chirurgico invasivo con cui vengono trattati.

Si tratta in ogni caso di una scelta che, da un lato, consente una precisa selezione dei casi da analizzare, ma allo stesso tempo riguarda un tipo di patologia a basso rischio ICA. Questa scelta consapevole è mirata a fornire un’evidenza chiara di cosa possa accadere per patologie più complesse con rischi maggiori di ICA, che vedono quindi un’esplosione dei costi economici e, al contempo, dei costi sociali in termini di incremento di degenze ospedaliere per i pazienti, di ricoveri ripetuti e di mortalità.

Come si osserva nella Tabella 3.1, mediamente ogni struttura ospedaliera ricovera annualmente 680 pazienti per frattura di femore e circa l’1% contrae un’infezione correlata all’assistenza. Si tratta per lo più di pazienti anziani, con un’età media di 81 anni, che permangono in ospedale per 12 giorni, un tempo piuttosto lungo considerando la tendenza alla dimissione anticipata indotta dal sistema di pagamento prospettico basato sui DRG che caratterizza il sistema sanitario italiano.

Se si osserva il sottogruppo di pazienti che ha contratto l’infezione, si può vedere che non vi è una differenza in termini di età, ma cambia notevolmente il numero di giorni che vengono trascorsi in ospedale, che sale a 21 (mediamente). Questo semplice dato aiuta a comprendere come il fenomeno delle ICA abbia un costo notevole per il sistema sanitario; è sufficiente considerare che questi 9 giorni in più di media che l’1% dei pazienti trascorre in ospedale, corrispondono a un posto letto occupato che non può essere liberato per un altro ricovero, riducendo in questo modo l’efficienza ospedaliera. Allo stesso tempo, per l’ospedale questo corrisponde a un costo aggiuntivo di circa 4.500 euro (considerando un costo medio per ricovero medico di circa 500 euro a giornata) e senza alcun ricavo aggiuntivo.

Proprio il meccanismo del pagamento prospettico a DRG, introdotto in Italia negli anni Novanta del secolo scorso dai Decreti legislativi di riforma del sistema che si sono succeduti in quegli anni, determina un rimborso fisso per ogni episodio di ricovero, svincolato dalle giornate di degenza (almeno entro una certa soglia). Questo comporta che per questa tipologia di ricoveri, ogniqualvolta si determina un’ICA, la struttura ospedaliera perde 4.500 euro (in media) senza possibilità di copertura.

Le Figure da 3.1 a 3.10 di questo capitolo esprimono l’andamento di questi fenomeni con il dettagli delle distribuzioni e consentono di osservare l’enorme variabilità, sia del numero di ricoveri, sia dell’incidenza delle ICA e, non ultimo, le loro conseguenze in termini di mortalità.

Tabella 3.1: Caratteristiche ospedaliere

Figura 3.1: Distribuzione della variabile N ricoveri.
Arancio: 5° e 95° percentile. Rosso: Mediana

Figura 3.2: Distribuzione della variabile N infezioni.
Arancio: 5° e 95° percentile. Rosso: Mediana

Figura 3.3: Distribuzione della variabile Età.
Arancio: 5° e 95° percentile. Rosso: Mediana

Figura 3.4: Distribuzione della variabile Degenza media.
Arancio: 5° e 95° percentile. Rosso: Mediana

Figura 3.5: Distribuzione della variabile Età (infezioni).
Arancio: 5° e 95° percentile. Rosso: Mediana

Figura 3.6: Distribuzione della variabile Degenza media (infezioni).
Arancio: 5° e 95° percentile. Rosso: Mediana

Figura 3.7: Distribuzione della variabile N decessi.
Arancio: 5° e 95° percentile. Rosso: Mediana

Figura 3.8: Distribuzione della variabile N decessi (infezioni).
Arancio: 5° e 95° percentile. Rosso: Mediana

Figura 3.9: Distribuzione della variabile Tasso di mortalità.
Arancio: 5° e 95° percentile. Rosso: Mediana

Figura 3.10: Distribuzione della variabile Tasso di mortalità (infezioni).
Arancio: 5° e 95° percentile. Rosso: Mediana

3.1 Analisi per tipo di ospedale

In questa sezione, invece, osserviamo il dettaglio per tipologia di ospedale, distinguendo tra aziende ospedaliere, aziende ospedaliere universitarie e istituti di ricerca a carattere scientifico (IRCCS). Come già anticipato nel paragrafo 2.5, l’analisi per tipologia di ospedale consente di apprezzare le differenze soprattutto tra aziende ospedaliere e altre tipologie di ospedale con una maggiore vocazione alla ricerca scientifica.

Le Figure da 3.11 a 3.21 non sembrano evidenziare particolari differenze medie tra le variabili considerate e confermano quanto osservato in generale sulla forte variabilità del fenomeno e sulla rilevanza in termini economici e di costi sociali che le ICA inducono direttamente sul sistema sanitario. Questo viene confermato anche da un test ANOVA effettuato sulle variabili che sono poi state rappresentate nelle figure. Nella Tabella 3.2, dove le uniche significatività sono quelle legate alle dimensioni ospedaliere, si vede infatti che le differenze significative per tipo di ospedale rilevate dal test ANOVA (identificate dagli asterischi a fine riga) sono connesse al numero di ricoveri, che è chiaramente legato al numero di infezioni identificate e così anche al numero di decessi. Non si osservano, invece, differenze sul trattamento medio dei pazienti in termini di giornate di degenza né per i ricoveri in generale né per quelli con infezione e, allo stesso tempo, non si osserva una mortalità differente per i pazienti con ICA.

Questo supporta quanto già osservato in precedenza, vale a dire che non è la tipologia di ospedale a incidere sulla prevalenza di ICA e sulle loro conseguenze in termini di costo per il sistema sanitario e di conseguenze per i pazienti.

Tabella 3.2: Test ANOVA sulle principali variabili di confronto

Figura 3.11: Distribuzione della variabile N ricoveri per Tipo Azienda Ospedaliera.
Arancio: 5° e 95° percentile. Rosso: Mediana

Figura 3.12: Distribuzione della variabile N infezioni per Tipo Azienda Ospedaliera.
Arancio: 5° e 95° percentile. Rosso: Mediana

Figura 3.13: Distribuzione della variabile Età per Tipo Azienda Ospedaliera.
Arancio: 5° e 95° percentile. Rosso: Mediana

Figura 3.14: Distribuzione della variabile Degenza media per Tipo Azienda Ospedaliera.
Arancio: 5° e 95° percentile. Rosso: Mediana

Figura 3.15: Distribuzione della variabile Età (infezioni) per Tipo Azienda Ospedaliera.
Arancio: 5° e 95° percentile. Rosso: Mediana

Figura 3.16: Distribuzione della variabile Degenza media (infezioni) per Tipo Azienda Ospedaliera.
Arancio: 5° e 95° percentile. Rosso: Mediana

Figura 3.17: Distribuzione della variabile N decessi per Tipo Azienda Ospedaliera.
Arancio: 5° e 95° percentile. Rosso: Mediana

Figura 3.18: Distribuzione della variabile N decessi (infezioni) per Tipo Azienda Ospedaliera.
Arancio: 5° e 95° percentile. Rosso: Mediana

Figura 3.19: Distribuzione della variabile Tasso di mortalità per Tipo Azienda Ospedaliera.
Arancio: 5° e 95° percentile. Rosso: Mediana

Figura 3.20: Distribuzione della variabile Tasso di mortalità (infezioni) per Tipo Azienda Ospedaliera.
Arancio: 5° e 95° percentile. Rosso: Mediana

Figura 3.21: Distribuzione della variabile Totale posti letto per Tipo Azienda Ospedaliera.
Arancio: 5° e 95° percentile. Rosso: Mediana

3.2 Analisi geografica

L’analisi territoriale delle ICA è di interesse in quanto consente una facile osservazione della distribuzione territoriale del fenomeno.

Come atteso, anche questa analisi rimarca il differenziale territoriale presente nel sistema sanitario italiano, con le regioni meridionali che mostrano sempre livelli peggiori in tutte le dimensioni.

Una prima semplice conclusione è, quindi, che i costi sociali ricadono in modo più marcato sulle regioni del Sud. Pertanto, laddove la qualità del sistema sanitario è più scadente, anche le ICA giocano un ruolo importante, contribuendo in modo significativo a un incremento dei costi.

Figura 3.22: Distribuzione territoriale della variabile N ricoveri

Figura 3.23: Distribuzione territoriale della variabile N infezioni

Figura 3.24: Distribuzione territoriale della variabile Età

Figura 3.25: Distribuzione territoriale della variabile Degenza media

Figura 3.26: Distribuzione territoriale della variabile Età (infezioni)

Figura 3.27: Distribuzione territoriale della variabile Degenza media (infezioni)

Figura 3.28: Distribuzione territoriale della variabile N decessi

Figura 3.29: Distribuzione territoriale della variabile N decessi (infezioni)

Figura 3.30: Distribuzione territoriale della variabile Tasso di mortalità

Figura 3.31: Distribuzione territoriale della variabile Tasso di mortalità (infezioni)

3.3 Analisi dei costi sociali

Questo capitolo ha come obiettivo l’indagine dei costi sociali connessi alle ICA. Fino a questo punto abbiamo analizzato gli aspetti economici legati alle ICA, osservando principalmente come i bilanci ospedalieri abbiano ridotto gli investimenti per le spese di igiene e pulizie, mentre risulta evidente che vi sia una relazione diretta, seppur spuria, tra l’incidenza di ICA e questo tipo di spesa.

È chiaro come, rispetto alle ICA, non sia sufficiente analizzare solo gli aspetti più strettamente economici, ma si rende necessario porre attenzione alle implicazioni sociali. Esistono, infatti, costi connessi alle ICA di tipo sociale che hanno a che fare sia con le conseguenze di salute per i cittadini, sia con l’impatto sul sistema sanitario.

In questo capitolo, quindi, vogliamo analizzare la relazione tra due indicatori legati ai costi sociali derivanti dalle ICA e le spese dedicate all’igiene e alle pulizie. Per valutare i costi sociali ci siamo concentrati sulla mortalità per ICA e sull’incidenza della degenza dovuta alle ICA, rispetto alla degenza complessiva. Da un lato saremo in grado di capire quanta mortalità evitabile si può osservare, attraverso una maggiore attenzione agli investimenti per igiene e pulizie, dall’altra andremo a osservare quanto una maggiore spesa per igiene e pulizie può ridurre le giornate di degenza in eccesso dovute alle ICA. Giova ricordare come le giornate aggiuntive di degenza dovute alle ICA sono un mero costo per gli ospedali e, quindi, una spesa evitabile per il sistema sanitario. Non solo, un eccesso di giornate di degenza comporta un minor turnover dei posti letto, un’occupazione degli stessi che non consente un incremento di efficienza del sistema.

Per raggiungere gli obiettivi di questo capitolo, abbiamo adottato un approccio che prevede due modelli lineari in cui le variabili dipendenti sono: la mortalità per infezioni e il rapporto tra degenza media per infezioni e la degenza media dei ricoveri non soggetti a ICA.

I modelli sono aggiustati per caratteristiche delle strutture ospedaliere, come già fatto in precedenza durante l’analisi dei bilanci. In questo caso le variabili di controllo sono: la mortalità complessiva dell’ospedale, che agisce come una sorta di livello medio dell’ospedale rispetto alla mortalità per ICA, il fatto che l’ospedale appartenga a un’azienda universitaria o che risulti un IRCCS, la presenza e il tipo di pronto soccorso, l’età media dei pazienti, il numero di letti ospedalieri e il numero di posti letto per tipologia di reparto. Infine, una variabile che distingue gli investimenti per igiene e pulizie. Lo stesso modello è stato stimato aggiungendo, di volta in volta, un diverso indicatore del livello di spesa per igiene e pulizia.

Il risultato è in linea con le aspettative, vale a dire che, laddove il livello di spesa è maggiore, si osserva da un lato una riduzione della mortalità (vedi Tabella 3.3); allo stesso modo, la stima del modello sull’eccesso di degenza ospedaliera per ICA (vedi Tabella 3.4) conferma come le ICA comportino un aumento prevenibile della degenza ospedaliera laddove minore è l’investimento in igiene e pulizia.

Tabella 3.3: Stima dell’effetto della spesa per igiene e pulizie sulla mortalità per ICA

Tabella3.4: Stima dell’effetto della spesa per igiene e pulizie sull’eccesso di degenza ospedaliera per ICA

3.4 Analisi delle schede di Dimissione Ospedaliera

3.4.1 Il caso delle infezioni ortopediche post-operatorie

L’approfondimento sulla problematica delle ICA nel contesto nazionale è stato realizzato mediante uno studio di coorte retrospettivo nazionale, basato sui dati amministrativi delle dimissioni ospedaliere di pazienti chirurgici con fratture del femore dall’inizio del 2016 alla fine del 2019, in Italia.

Si è voluto stimare l’incidenza delle infezioni post-operatorie, sia durante il ricovero che dopo la dimissione dei pazienti, differenziando in base al tipo di istituto di ricovero ove è stata condotta la procedura chirurgica.

Nell’analisi sono state incluse tutte le cartelle cliniche pertinenti per patologia (fratture del femore trattate chirurgicamente) e intervento, di tutti i centri sanitari nazionali. Dei 374.239 pazienti inclusi, il 73% erano donne con un’età media di 84 anni (intervallo interquartile = 77:89). La maggior parte dei partecipanti è stata curata in ospedali pubblici (79%), il 44% è stato sottoposto a fissazione interna del femore, lo 0,2% a chirurgia chiusa e <0,1% a chirurgia aperta, mentre per il 56% è stata utilizzata una procedura diversa o la procedura esatta non era nota. L’incidenza cumulativa delle infezioni post-operatorie durante il ricovero e dopo la dimissione entro 3 mesi dall’intervento chirurgico è stata rispettivamente dello 0,9% e dello 0,1%.

Rispetto agli istituti pubblici, dopo aver aggiustato per età, sesso, Charlson Comorbidity Index, tipo di incidente, tipo di ricovero, stato civile, livello di istruzione e area geografica, gli ospedali universitari hanno mostrato un rischio più elevato di infezioni post-operatorie [odds ratio aggiustato [aOR] = 2,29 (IC 95%: 2,09-2,51)], mentre gli ospedali privati hanno mostrato un rischio inferiore [aOR= 0,63 (IC 95%: 0,52-0,76)]. L’area geografica è stata un modificatore della misura dell’effetto, per l’associazione tra tipo di istituti sanitari e rischio di infezione postoperatoria (interazione p-value<0,0001). L’incidenza complessiva delle infezioni postoperatorie in pazienti ortopedici ricoverati in ospedale, nel nostro studio, è risultata inferiore a quella riportata in letteratura ed è probabile che l’incidenza post dimissione sia sottostimata.

Sebbene non sia possibile escludere un confondimento residuo e altri tipi di bias, i nostri risultati suggeriscono che il rischio di complicanze da interventi chirurgici per frattura del femore può dipendere dal tipo di istituto sanitario in cui è stata condotta la procedura operatoria, sebbene vari in base alla regione.

3.4.2 L’analisi retrospettiva sulle SDO

Lo studio delle SDO è stato realizzato su una sottopopolazione dei ricoverati italiani e ha riguardato, in particolare, i ricoveri nazionali dal 2012 al 2016 di pazienti con fratture di femore. La scelta di questo sottogruppo è dovuta al rischio aumentato di contrarre ICA in ragione dell’età avanzata della maggioranza dei fratturati di femore e del trattamento chirurgico invasivo con cui vengono trattati.

Le fratture del femore sono le cause più frequenti di ricovero degli anziani nei reparti di ortopedia (Zhang, 2012). La letteratura riporta che l’incidenza delle infezioni del sito chirurgico nei pazienti con frattura di femore varia anche in base alla posizione della frattura femorale: dal 3,2% al 36% nelle fratture del collo del femore (El-Daly, 2015; Yassa et al., 2017); dall’1,6% al 6,9% nelle fratture del femore prossimale (Acklin et al., 2011; Langenhan et al., 2018); dal 3,6% nelle fratture del femore distale (Bai et al., 2019). In una recente revisione sistematica (Noailles et al., 2016), l’incidenza complessiva di infezioni del sito chirurgico, dopo emiartroplastica della frattura del collo del femore, variava dall’1,7% al 7,3% (13 studi). Inoltre, è stato riportato che vari fattori di rischio sono associati al rischio di infezioni del sito chirurgico, a seguito di frattura del femore, comprese le condizioni preoperatorie. Tra queste, si annoverano l’obesità (Bai et al., 2019; Noailles et al., 2016), le malattie del fegato (Noailles et al., 2016), l’età avanzata (Noailles et al., 2016), il fumo e i livelli ridotti di albumina (Bai et al., 2019), il BMI (Ji et al., 2019), l’uso di corticosteroidi (Ji et al., 2019), l’anemia e le infezioni delle vie urinarie preoperatorie (Yassa et al., 2017). Vi sono poi fattori legati all’intervento, tra cui la durata (Noailles et al., 2016) e l’uso di fissatori esterni (Bai et al., 2019) e altri fattori postoperatori, come la durata del ricovero in ospedale, il drenaggio prolungato della ferita chirurgica e l’uso di cateteri urinari (Noailles et al., 2016). Inoltre, le infezioni del sito chirurgico, secondarie a fratture di femore, sono associate a un aumentato rischio di morte e a un allungamento della degenza ospedaliera, con conseguente aumento dei costi delle cure mediche (Wijeratna et al., 2015).

Abbiamo quindi condotto questa parte preliminare dello studio su un ampio database rappresentativo a livello nazionale (Commission, 2015), per valutare in rischio di ICA e sepsi in questi pazienti, in associazione, oltre che con le caratteristiche individuali dei pazienti, anche con il tipo di struttura sanitaria italiana. Abbiamo anche cercato di verificare se il rischio di questi stessi endpoint associati al tipo di struttura sanitaria potesse variare in base alla regione geografica.

Le analisi sono state effettuate sui dati amministrativi delle SDO di tutti i pazienti italiani ricoverati per frattura del femore e trattati con un intervento chirurgico, dal 2012 al 2016. Sono state escluse le cartelle cliniche con dati demografici o clinici di base incompleti; sono state escluse anche le cartelle cliniche di pazienti con fratture diverse dalle fratture del femore.

Le caratteristiche demografiche considerate comprendevano il tipo di struttura di ricovero (cliniche private, ospedali pubblici, ospedali universitari e ospedali di ricerca), età, sesso, durata e anno di ricovero, regione geografica (Nord, Centro e Sud Italia), tipo di incidente (ad esempio, domestico, correlato al lavoro o incidente stradali), tipo di ospedalizzazione (ad esempio, per acuti, lungodegenza o riabilitazione), tipo di ricovero (ordinario, urgente), intervento chirurgico (ad esempio, chirurgia a cielo aperto, fissazione interna e altri), esiti di fratture del femore (cioè infezione e sepsi). Le infezioni e 63 le sepsi sono state trattate come risultati (variabili dipendenti). Il database utilizzato per condurre questo studio raccoglie il set minimo di dati di base di ogni paziente ricoverato in qualsiasi ospedale italiano.

L’estrazione dei dati delle caratteristiche demografiche rilevanti, dei dati clinici e degli esiti delle procedure sui casi d’interesse si è basata sulle SDO messe a disposizione dall’Istituto Superiore di Sanità Italiano. Due ampie categorie di esiti sono state identificate e utilizzate nell’analisi come endpoint separati, tra cui sepsi e ICA. Per le ICA sono state selezionate tutte le infezioni diverse dalle sepsi, codificate in base al sistema di codifica (ICD)-9-CM.

Per quanto riguarda le procedure con cui sono state trattate le fratture di femore, sono stati inclusi tutti i tipi di interventi chirurgici implementati per trattare le fratture del femore nei partecipanti reclutati, indipendentemente dal tipo di intervento o dal tipo di frattura del femore.

Le caratteristiche dei pazienti inclusi nel nostro database sono state confrontate a seconda del tipo di struttura di ricovero (cliniche private, ospedali pubblici, ospedali universitari e ospedali di ricerca) in cui è stata trattata la frattura del femore. Le variabili categoriali sono state confrontate utilizzando il test chi-quadrato, mentre la distribuzione dei fattori continui è stata confrontata utilizzando il test non parametrico di Kruskal-Wallis. Gli obiettivi primari della nostra ricerca includevano quanto segue: (1) stimare l’incidenza di ICA e sepsi in pazienti con frattura del femore e (2) identificare i fattori associati al rischio di ICA e sepsi in pazienti con fratture del femore. La principale esposizione di interesse è stata la tipologia di struttura di ricovero riconosciuta come “ospedale pubblico”, usata come categoria di riferimento. Altre esposizioni secondarie includevano: degenza ospedaliera (meno di 10 giorni vs 11 giorni o più), tipo di intervento chirurgico (aperto vs chiuso vs fissazione interna vs altri) ed età (inferiore a 60 anni vs maggiore di 60 anni). Sono stati utilizzati modelli di regressione logistica separati per valutare l’associazione tra questi fattori di esposizione e il rischio dei due endpoint e sono stati stimati e tabulati gli odds ratio (OR) con i corrispondenti intervalli di confidenza al 95% (CI).

Nel modello di regressione logistica multivariabile per “tipo di istituto” di esposizione principale, abbiamo incluso potenziali cause comuni del tipo di istituto e risultati quali: età, sesso, anno di ricovero, tipo di incidente, tipo di ricovero. Abbiamo utilizzato una procedura di regolazione manuale in due fasi, controllando prima i dati demografici (età, sesso e anno di ricovero) e poi aggiustando ulteriormente il tipo di incidente e il tipo di ricovero in una seconda fase. Inoltre, abbiamo valutato se il rischio di HAI e sepsi associati al tipo di istituto potesse variare in base alla regione geografica degli ospedali reclutati. Questo è stato formalmente testato includendo un sistema di interazione nei modelli di regressione logistica. Per gli altri fattori di esposizione, è stato utilizzato un insieme leggermente diverso di potenziali fattori di confondimento in base alla struttura causale sottostante presunta dei dati.

3.4.3 Descrizione dei risultati

Questo studio è stato condotto in conformità con le linee guida STROBE per la conduzione di studi di coorte osservazionali (Von Elm, 2007). Nell’analisi finale sono stati inclusi un totale di 281.165 pazienti con fratture del femore. La maggior parte (231.708; 82,41%) dei pazienti è stata ricoverata in ospedali pubblici, mentre 22.812 (8,11%) pazienti sono stati ricoverati in ospedali universitari, 17.154 (6,10%) pazienti sono stati ricoverati in ospedali o cliniche private, e 9.491 (3,38%) pazienti sono stati ricoverati in ospedali di ricerca italiani. La popolazione complessiva aveva un’età media di 83 anni (IQR = 75-88). La maggioranza della popolazione era di sesso femminile (207.256; 73,7%), proveniente dal Nord Italia (regione Nord, 48,9%), con tipologia di infortunio classificata come “altro” (57,3%), seguita da incidenti domestici nel 37,0% dei casi. La quasi totalità dei casi ha richiesto un ricovero acuto (97,5%), e altrettanti sono ricoveri in urgenza (97,2%). L’88,1% è stato trattato con una procedura di fissazione interna. Avevano una durata mediana del ricovero di 11 giorni (IQR = 8-15). In termini di prevalenza degli esiti associati al femore, l’HAI si è verificata nell’1,5% dei pazienti (4.142) e la sepsi nello 0,8% dei pazienti (2.244), rispettivamente. Le caratteristiche demografiche al basale e gli esiti procedurali dei pazienti inclusi stratificati per tipo di istituto sono presentati nella Tabella 3.5.

La prevalenza di ricoveri urgenti era significativamente più alta negli ospedali pubblici rispetto a quelli privati (98,7% contro 76,7%, P <0,001). La sintesi interna è stata utilizzata più frequentemente negli ospedali pubblici rispetto a quelli IRCCS (89,6% vs 76,7%, P <0,001). La prevalenza degli endpoint dello studio differiva significativamente tra i diversi tipi di istituto, il rischio di sepsi (1,3%) e ICA (1,9%) erano i più alti negli ospedali universitari (Tabella 3.5). La maggior parte degli ospedali del Nord Italia erano IRCCS (84,4%), mentre la maggior parte degli ospedali del Centro e Sud Italia erano privati rispettivamente 21,5% e 43,9%. La percentuale di pazienti ricoverati a causa di incidenti domestici era significativamente più alta negli ospedali IRCCS (45,0%) rispetto agli ospedali universitari (26,6%). Anche la prevalenza del tipo di ricovero differiva in modo significativo tra i diversi tipi di istituto, essendo il ricovero urgente significativamente più alto negli ospedali pubblici rispetto a quelli privati (98,7% contro 76,7%).

Tabella 3.5 Caratteristiche demografiche di base dei pazienti inclusi, stratificati in base al tipo di struttura di ricovero

La Tabella 3.6 mostra i risultati dell’adattamento dell’analisi di regressione logistica per tutti i risultati principali. Nel complesso, il tipo di struttura di ricovero era associato al rischio di ICA e sepsi sia nel modello non aggiustato che dopo il controllo dei potenziali fattori di confondimento identificati. Rispetto agli ospedali pubblici, gli ospedali universitari erano significativamente correlati con un rischio più elevato di ICA (aOR = 1,13; 95% CI: 1,02-1,26) e sepsi (aOR = 1,59; 95% CI: 1,40-1,80), dopo aggiustamento per età, sesso, tipo di ricovero, anno di ricovero e tipo di incidente. D’altra parte, utilizzando ancora gli ospedali pubblici come comparatore, gli ospedali privati erano associati a un minor rischio di sepsi (aOR = 0,44; IC 95%: 0,33-0,59), mentre gli ospedali IRCCS erano associati a un minor rischio di ICA (aOR = 0,29; 95% CI: 0,22-0,38) e sepsi (aOR = 0,80, 95% CI: 0,65-0,98, p = 0,03).

Tabella 3.6 OR dei diversi endpoint in base al tipo di struttura di ricovero derivanti dall’adattamento di un modello di regressione logistica (overall population)

Per quanto riguarda l’effetto dell’area geografica sull’associazione tra ICA e tipo di struttura di ricovero, abbiamo anche verificato se l’associazione tra tipo di istituzione e rischio dei risultati potesse variare in base all’area geografica dell’Italia. Il test di interazione formale ha suggerito che l’area geografica era un modificatore di effetto per l’associazione tra tipo di istituzione e rischio di ICA (valore p dell’interazione = 0,04) e, ancor di più, per la sepsi (p <0,0001).

Alcune di queste interazioni erano quantitative. Ad esempio, le associazioni nel Nord Italia erano simili a quelle osservate nel complesso, sebbene la differenza di rischio tra ospedali universitari e istituzioni pubbliche fosse ancora maggiore per alcuni endpoint. In particolare, utilizzando ancora le istituzioni pubbliche come comparatore – e dopo aver aggiustato per età, sesso, anno di ricovero, tipo di ricovero, e tipo di incidente – il rischio di ICA era associato all’università (aOR = 1,41; IC 95%: 1,25- 1,59 ) (vs 1,13 complessivo, valore p dell’interazione = 0,04).

Da notare, al contrario, il rischio di sepsi era simile a quello osservato nel complesso (aOR = 1,54; IC 95%: 1,35-1,76) (Tabella 3.7A). D’altra parte, nell’Italia centrale, dopo aver aggiustato per lo stesso insieme di potenziali fattori di confondimento, il rischio di sepsi associato all’università era triplicato (aOR = 2,93; IC 95%: 1,90-4,52, Tabella 3.7B), quasi due volte superiore a quello visto nel complesso (aOR = 1,59; IC 95%: 1,40-1,80, Tabella 3.6). Per la sepsi vi era la più grande evidenza di un’interazione tra tipo di strutture di ricovero e localizzazione geografica (p <0,0001).

C’era anche un’interazione qualitativa chiave poiché il rischio di risultati era costantemente inferiore nelle istituzioni private rispetto a quelle pubbliche. Tuttavia, nel Sud Italia, il rischio di ICA era in realtà molto più alto di quello osservato nelle istituzioni pubbliche (aOR = 2,29; IC 95%: 1,89-2,77) (Tabella 3.7C).

Tabella 3.7A OR dei diversi endpoint in base al tipo di struttura di ricovero derivanti dall’adattamento di un modello di regressione logistica (regioni del Nord Italia)

Tabella 3.7B OR dei diversi endpoint in base al tipo di struttura di ricovero derivanti dall’adattamento di un modello di regressione logistica (regioni del centro Italia)

Tabella 3.7C OR dei diversi endpoint in base al tipo di struttura di ricovero derivanti dall’adattamento di un modello di regressione logistica (regioni del Sud Italia)

3.4.4 Relazione tra spesa per igiene e pulizia e ICA

L’analisi successiva consente di osservare una relazione (non causale) tra i volumi di spesa dedicati all’igiene di base, all’igiene complessiva e al totale dei costi di bilancio rispetto alla proporzione di infezioni che si osservano nei setting ortopedici dei diversi ospedali.

Come si può vedere nella prima colonna della Tabella 3.8 i tre indici di spesa considerati sono stati dicotomizzati utilizzando la soglia osservata nelle figure precedenti.

La colonna di interesse è l’ultima dove la relazione tra spesa per igiene e infezioni è aggiustata per una serie di covariate. Le covariate di aggiustamento incluse nei modelli sono state riassunte nella nota alla Tabella.

Tabella 3.8

Il risultato più evidente, pur con tutte le limitazioni derivanti dal tipo di dataset a disposizione (ossia dati amministrativi disponibili sulle SDO) è che per ognuno degli indici considerati, chi dedica maggiori risorse economiche all’igiene e alle pulizie ottiene anche una riduzione statisticamente significativa del tasso di infezioni postoperatorie.

Questo risultato è esattamente in linea con quanto atteso dal progetto e costituisce una prima evidenza a conferma del fatto che, oltre alle dinamiche di processo presenti nei singoli ospedali, che possono in qualche modo spiegare l’insorgenza delle infezioni correlate all’assistenza, esiste anche una maggiore probabilità di osservare un’infezione laddove la spesa per igiene è più bassa.

Capitolo 2

Analisi dei bilanci delle Aziende Ospedaliere

2.1 Voci conto economico

2.2 Variabili derivate dal conto economico

2.3 Statistiche Descrittive

2.4 Analisi delle caratteristiche ospedaliere

2.5 Analisi per tipologia di ospedale

2.6 Distribuzione geografica delle strutture ospedaliere

2.7 Distribuzione geografica dell’offerta di posti letto ospedalieri

2.8 Distribuzione geografica delle spese ospedaliere per igiene e pulizie

2.9 Studio della correlazione

2.10 Quale relazione tra spesa per igiene e caratteristiche ospedaliere?

Analisi dei bilanci delle Aziende Ospedaliere

La parte introduttiva di questo lavoro evidenzia la relazione tra gli aspetti economici legati alle ICA e l’impatto della prevenzione delle ICA sul budget ospedaliero. In particolare, la divisione in zone comporta rischi diversificati, visto che le zone ad alto rischio prevedono un’igiene più aggressiva, anche h24 e quindi frequenze maggiori, da eseguire con prodotti più costosi e, di conseguenza, dovrebbero sostenere una spesa più elevata.

Per questo motivo, risulta importante iniziare questa ricerca da un’analisi dei bilanci delle Aziende Ospedaliere, in modo da verificare quale sia l’andamento della spesa per l’igiene e la sanificazione degli ospedali e se vi siano relazioni inattese tra le caratteristiche degli ospedali e il bilancio dedicato a tali spese.

L’analisi che segue consiste nella stima dei fattori che influiscono sulla presenza delle ICA mediante una raccolta dati concernente la spesa per i servizi di pulizia e igiene ospedaliera sul totale delle aziende ospedaliere pubbliche operanti sul territorio nazionale.

Un primo obiettivo riguarda l’analisi delle spese di bilancio connesse ai servizi di pulizia e igiene e i fattori a esse collegate. Successivamente, una valutazione econometrica consentirà di analizzare l’impatto delle variazioni nel tempo delle spese di bilancio sull’incidenza delle ICA.

In questa prima fase si vuole analizzare in modo descrittivo la popolazione di Aziende Ospedaliere a disposizione, in termini di caratteristiche delle aziende stesse e la relazione tra queste caratteristiche e la spesa per pulizia e igiene.

La raccolta dati è stata effettuata attraverso i dati dei bilanci delle Aziende Ospedaliere pubbliche, messi a disposizione dal Ministero della Salute. La scelta di utilizzare questi dati al posto di una survey dedicata, ci consente una copertura territoriale completa, senza quindi la necessità di campionare gli ospedali introducendo in questo modo un errore di campionamento che creerebbe, per quanto preciso, una distorsione nelle stime.

I dati sono stati reperiti sul sito del Ministero della Salute e riguardano gli anni dal 2015 al 2020 per le Aziende Ospedaliere pubbliche operanti nelle 19 regioni e 2 province autonome. L’inclusione dei dati 2020 nelle analisi richiede un’accortezza maggiore nella sua valutazione, in quanto le informazioni disponibili risentono dell’effetto Covid, che ha avuto un impatto decisivo sia sulle infezioni sia sui bilanci ospedalieri. 

Allo scopo, quindi, di evidenziare le tendenze dei comportamenti ospedalieri in assenza di un effetto esogeno e altamente impattante come il Covid, si è scelto di proporre analisi separate con e senza le informazioni del 2020. Infine, ai dati di bilancio si sono affiancati i dati relativi alle caratteristiche degli ospedali, reperibili sul sito del Ministero della Salute. In particolare, le caratteristiche degli ospedali considerate sono le seguenti:

  • Numero di posti letto
  • Numero di posti letto in reparti ad alta intensità di cura
  • Numero di strutture afferenti all’A.O.
  • DEA, variabile binaria, =1 se l’A.O. è sede di un Dipartimento di Emergenza Urgenza e Accettazione (DEA) di I livello o di II livello
  • PS, variabile binaria, =1 se l’A.O. è sede di un PS che non rientra in DEA1 e DEA2 IRCCS, variabile binaria =1 se l’A.O. è un istituto di ricovero e cura a carattere scientifico
  • UNI, variabile binaria =1 se l’A.O. è un ospedale universitario

Vengono considerati reparti a elevata intensità di cura quei reparti in cui è più critico mantenere il livello di igiene e pulizia elevato per via della condizione del paziente. Tra questi reparti vi sono i reparti chirurgici, i reparti di terapia intensiva (TI) e i reparti di malattie infettive e tropicali (MI).

A complementare le variabili sopra menzionate vengono incluse le variabili DEA e PS. I DEA possono essere a livelli di intensità di cura crescente. Il DEA di primo livello garantisce, oltre alle prestazioni fornite dagli ospedali sede di Pronto Soccorso, anche le funzioni di osservazione e breve degenza, di rianimazione. Inoltre, assicura interventi diagnostico-terapeutici di medicina generale, chirurgia generale, ortopedia e traumatologia, cardiologia con UTIC (Unità di Terapia Intensiva Cardiologia). Sono inoltre assicurate le prestazioni di laboratorio di analisi chimico-cliniche e microbiologiche, di diagnostica per immagini e trasfusionali. Il DEA di secondo livello aggiunge le funzioni di più alta qualificazione legate all’emergenza: la cardiochirurgia, la neurochirurgia, la terapia intensiva neonatale, la chirurgia vascolare, la chirurgia toracica, le unità per grandi ustionati, le unità spinali ove rientranti nella programmazione regionale.

2.1 Voci conto economico

Dai dati di bilancio sono state estratte delle specifiche voci che consentono di distinguere i dati relativi alla spesa per pulizia e i costi di produzione. In particolare si sono estratte le seguenti voci:

  • Acquisti di beni (B.1)
  • Acquisti di beni non sanitari (B.1.B)
  • Materiali di guardaroba, di pulizia e di convivenza in genere (B.1.B.2)
  • Acquisti di servizi (B.2)
  • Acquisti di servizi non sanitari (B.2.B)
  • Servizi non sanitari (B.2.B.1)
  • Pulizia (B.2.B.1.2)
  • Smaltimento rifiuti (B.2.B.1.7)
  • Formazione (B.2.B.3)
  • Manutenzione e riparazione (ordinaria esternalizzata) (B.3)
  • Personale del ruolo sanitario (B.5)
  • Variazione delle rimanenze (B.15)
  • Totale costi della produzione (B)

2.2 Variabili derivate dal conto economico

Per l’analisi statistica si sono creati degli indici di spesa che contengono le differenti voci del conto economico, principalmente espressi in migliaia di euro. Gli indici con le relative sigle utilizzate nell’analisi statistica (in corsivo tra parentesi) e, tra parentesi, le codifiche di bilancio, sono elencati di seguito:

Pulizia (pulizia): acquisto di servizi di pulizia (B.2.B.1.2).

Igiene di base (igbase): acquisto di servizi di pulizia (B.2.B.1.2), a cui va aggiunta la spesa per l’acquisto di materiale di guardaroba, di pulizia e di convivenza in genere (B.1.B.2).

Igiene allargata (igall): spesa per igiene di base (igbase), a cui va aggiunta la spesa per lo smaltimento rifiuti (B.2.B.1.7), i costi della produzione (B), formazione (B.2.B.3) e acquisto di servizi non sanitari (B.2.B).

La scelta di queste variabili mira, da un lato, a verificare quanto incidano le caratteristiche delle strutture ospedaliere su queste spese, così da capire se le relazioni attese siano effettivamente rispettate. Se consideriamo, ad esempio, la divisione in livelli di rischio espressa in precedenza, è evidente che ci si aspetti una relazione positiva fra questa caratteristica ospedaliera e un’elevata spesa per i servizi di pulizia e igiene.

2.3 Statistiche descrittive

In questa sezione vengono riportate le statistiche descrittive dei dati utilizzati. Come anticipato, i dati relativi al 2020, il primo anno della pandemia da Covid-19, vengono mostrati separatamente.

Si riportano due set di statistiche descrittive: le prime riguardano le caratteristiche ospedaliere, in termini di numero di reparti e del totale dei posti letto, le seconde, invece, descrivono le voci di conto economico legate alla pulizia e igiene. I posti letto sono quindi suddivisi in tre tipologie: quelli chirurgici, quelli dedicati alla terapia intensiva e quelli per le malattie infettive. Inserendo nei modelli la percentuale di posti letto per tipologia sul totale dei posti letto, ci aspettiamo di osservare una relazione positiva e significativa fra queste caratteristiche e la spesa per la pulizia. Infatti, queste tipologie di posti letto sono inserite nei modelli come proxy del rischio microbiologico degli ospedali. L’area chirurgica, l’area della terapia intensiva e i reparti di malattie infettiva rappresentano zone ospedaliere ad alta sensibilità e che, pertanto, necessitano di una maggiore attenzione dal punto di vista della pulizia e dell’igiene.

Infine, nei modelli statistici che andremo a sviluppare, saranno inserite una variabile che distingue tra ospedali universitari e non, un’altra per intercettare le strutture IRCCS e, infine, due variabili che identificano la presenza di un Pronto Soccorso semplice oppure di un PS ad alta intensità (DEA). Anche in questo caso l’obiettivo è approssimare la maggiore sensibilità delle strutture ospedaliere all’igiene e, quindi, l’idea è di osservare in termini modellistici una relazione positiva e significativa tra queste caratteristiche e gli outcome di spesa.

Le due tabelle seguenti consentono una preliminare lettura della distribuzione di questa variabile e della grande eterogeneità presente nei dati. Dalle sezioni superiori delle tabelle 2.1 e 2.2, quelli relativi ai primi 5 anni di dati, si nota come l’aggiunta del 2019 non abbia variato sostanzialmente nessuna delle caratteristiche ospedaliere né delle voci di conto economico. Ad esempio, la voce Pulizia è variata da una media di 5.733 milioni di euro a 5.852 milioni di euro (Tabella 2.2). Diversa è la situazione per l’anno 2020: se la dotazione in termini di posti letto e di reparti è rimasta pressoché identica al periodo pre-pandemico, tutte le voci di costo sono aumentate drasticamente. I costi di pulizia medi sono passati da 5.58 milioni di euro a 30.242 milioni di euro, un incremento di circa il 500%. Un incremento simile si nota sui costi totali e sull’acquisto dei beni. Per quanto riguarda l’ultima voce si noti come l’acquisto di beni non sanitari è quasi decuplicato durante il primo anno di pandemia. Poiché il 2020 costituisce un periodo di shock in termini di spese ospedaliere, tale anno viene escluso dal modello econometrico per evitare possibili bias causati dall’aumento repentino della necessità di pulizia a fronte di una stabilità in termini di dimensioni e dotazione di letti.

In Figura 2.1 possiamo notare come quasi un’azienda ospedaliera su quattro (circa 25%) è rappresentata da strutture con vocazione di ricerca, siano essere strettamente di tipo universitario oppure caratterizzate come Istituti di Ricerca e di Cura a Carattere Scientifico (IRCCS).

Tabella 2.1: Caratteristiche ospedaliere

Tabella 2.2: Variabili di conto economico

Figura 2.1: Distribuzione delle Aziende Ospedaliere per tipologia

2.4 Analisi delle caratteristiche ospedaliere

Le figure dalla 2.2 alla 2.5, invece, rappresentano la distribuzione delle principali variabili di interesse nell’universo dei dati disponibili. Si può apprezzare come siano tutte distribuzioni fortemente asimmetriche con code che si allungano verso destra a indicare come il panorama delle aziende ospedaliere sia fortemente diversificato e con molti outlier. Ciò è principalmente dovuto alla caratteristica principale del nostro sistema sanitario, che è stato regionalizzato progressivamente a seguito dei provvedimenti legislativi degli anni Novanta e della successiva riforma costituzionale del Titolo V nel 2001. Questo ha determinato un sistema sanitario che è in realtà la somma di ventuno diversi sistemi sanitari (19 Regioni e 2 Provincie Autonome) che sono caratterizzati anche da situazioni normative diverse. Ad esempio, Regione Lombardia, avendo esternalizzato dalle (vecchie) ASL la gestione ospedaliera, presenta un numero maggiore di strutture con bilanci più uniformi e meno consistenti, mentre regioni quali l’Emilia Romagna (ad esempio) avendo un sistema sanitario in cui le ASL governano buona parte degli ospedali, presentano bilanci con valorizzazioni economiche molto più consistenti, essendo esse la somma degli ospedali afferenti a ciascuna ASL.

Le figure dalla 2.6 alla 2.8 rappresentano, invece, l’andamento temporale delle variabili di maggiore interesse e, in ciascuna, si mostra sia la distribuzione temporale grezza della variabile sia la sua incidenza sul bilancio aziendale complessivo. Ciò che emerge in modo netto è che a fronte di un incremento dei costi nel periodo, in realtà negli stessi anni la proporzione di spesa per igiene e pulizie si riduce.

Si tratta di una prima evidenza rispetto a un complessivo disinvestimento. A fronte della crescita complessiva dei costi evidenziata in Figura 2.9, che conduce a un più generale incremento di spesa anche per le varie voci descritte nelle figure da 2.6 a 2.8, risulta evidente come queste spese non siano cresciute in egual misura rispetto alle spese sostenute dalle strutture ospedaliere in quel periodo. Questo è opportuno ribadirlo ed è esattamente ciò che osserviamo nelle spezzate rosse che si osservano nelle figure 2.6, 2.7 e 2.8.

Figura 2.2: Distribuzione della variabile Pulizia

Le due linee tratteggiate in arancio rappresentano il 5° e 95° percentile della distribuzione, mentre la linea tratteggiata rossa rappresenta la mediana.

Figura 2.3: Distribuzione della variabile Igiene di base

Le due linee tratteggiate in arancio rappresentano il 5° e 95° percentile della distribuzione, mentre la linea tratteggiata rossa rappresenta la mediana.

Figura 2.4: Distribuzione della variabile Igiene allargata

Le due linee tratteggiate in arancio rappresentano il 5° e 95° percentile della distribuzione, mentre la linea tratteggiata rossa rappresenta la mediana.

Figura 2.5: Distribuzione della variabile Costi totali

Le due linee tratteggiate in arancio rappresentano il 5° e 95° percentile della distribuzione, mentre la linea tratteggiata rossa rappresenta la mediana.

Figura 2.6: Andamento temporale della variabile Pulizia

Figura 2.7: Andamento temporale della variabile Igiene di base

Figura 2.8: Andamento temporale della variabile Igiene allargata

Figura 2.9: Andamento temporale della variabile Costi totali

2.5 Analisi per tipologia di ospedale

Figura 2.10: Distribuzione della variabile Pulizia per Tipo azienda ospedaliera.
Arancio: 5° e 95° percentile. Rosso: Mediana

Figura 2.11: Distribuzione della variabile Igiene di base per Tipo azienda ospedaliera.
Arancio: 5° e 95° percentile. Rosso: Mediana

Figura 2.12: Distribuzione della variabile Igiene allargata per Tipo azienda ospedaliera.
Arancio: 5° e 95° percentile. Rosso: Mediana

Figura 2.13: Distribuzione della variabile Costi totali per Tipo azienda ospedaliera.
Arancio: 5° e 95° percentile. Rosso: Mediana

Le figure da 2.10 a 2.13 esplorano la distribuzione delle variabili relative alla pulizia, all’igiene di base e all’igiene allargata, analizzando le differenze per tipologia di ospedale (Azienda Ospedaliera, Azienda Ospedaliera universitaria e IRCCS). È utile, infatti, capire se vi sia una qualche relazione tra tipologia ospedaliera e i costi sostenuti per igiene e pulizie; si osserva infatti una similarità distributiva tra le tre variabili considerate. In particolare, le Aziende Ospedaliere e le Aziende Ospedaliere universitarie hanno valori mediani e valori elevati (95-simo percentile) che risultano simili. Al contrario è diversa la distribuzione per gli IRCCS.

Questi ultimi, infatti, presentano valori mediani ridotti rispetto alle Aziende Ospedaliere e alle Aziende Ospedaliere universitarie, ma valori estremi maggiori. È possibile, quindi, identificare una quota di ospedali dedicati alla ricerca che investe in modo maggiore nei servizi di pulizia e igiene, e non si può escludere che ciò sia legato a una maggiore sensibilità anche al tema delle ICA, che deriva proprio da una maggiore consapevolezza legata alla ricerca che si svolge in quelle strutture.

2.6 Distribuzione geografica delle strutture ospedaliere

Le mappe rappresentate nelle figure 2.14, 2.15, 2.16 e 2.17 ci consentono di apprezzare la distribuzione territoriale delle Aziende Ospedaliere analizzate nel presente studio. In particolare in Figura 2.14 e 2.15 sono rappresentate le distribuzioni delle aziende e dei singoli presidi.

Esiste un’evidente relazione tra offerta di ospedali e popolazione in Lombardia e Sicilia, tra le più popolose regioni italiane, che vengono evidenziate in verde. Allo stesso tempo, anche Toscana, Emilia-Romagna, Piemonte e Lazio hanno una colorazione verde. In rosso invece le regioni più piccole, quali la Valle d’Aosta, il Trentino Alto Adige e il Molise.

Queste mappe ci consentono di evidenziare come non vi sia un gap Nord-Sud in termini di offerta.

Diversa è invece la rappresentazione che possiamo osservare nelle figure 2.16 e 2.17 dove è invece evidente come le strutture universitarie e quelle legate a obiettivi di ricerca (IRCCS) non siano uniformemente distribuite sul territorio. Si può notare che la Lombardia possiede un elevato numero di ospedali universitari e di ricerca, così come la Toscana, l’Emilia-Romagna e il Veneto, le altre tre regioni che, mediamente, ottengono valutazioni di qualità elevata rispetto ai servizi offerti.

Una sorpresa in tal senso è data dalla buona concentrazione di strutture universitarie in Lazio, Campania e Sicilia, a conferma che anche in regioni che non sempre ottengono buone performance in termini di qualità esistono ospedali a carattere universitario.

Figura 2.14: Distribuzione territoriale della variabile Numero di aziende Ospedaliere

Figura 2.15: Distribuzione territoriale della variabile Numero di presidi

Figura 2.16: Distribuzione territoriale della variabile Numero di IRCCS

Figura 2.17: Distribuzione territoriale della variabile Numero di AO universitarie

2.7 Distribuzione geografica dell’offerta di posti letto ospedalieri

Le mappe nelle Figure da 2.18 a 2.21 rappresentano la distribuzione geografica dell’offerta di posti letto generale (Figura 2.21) e per tipologia. In particolare le figure da 2.18 a 2.20 rappresentano la distribuzione regionale dei posti letto per diverse tipologie, che ci si aspetta essere correlate con una maggiore spesa, in quanto maggiormente a rischio di ICA. Per questo abbiamo considerato i posti letto chirurgici (Figura 2.18), i posti letto in terapia intensiva (Figura 2.19) e i posti letto in reparti di malattie infettive (Figura 2.20).

Anche da questa analisi si evince una chiara distribuzione territoriale in favore delle regioni del Nord e con maggiore qualità sanitaria. Non si tratta di un esclusiva relazione con la dimensione di popolazione, bensì una decisa superiore offerta di posti letto nelle diverse aree cliniche analizzate che favorisce i cittadini residenti in regioni quali: Lombardia, Toscana e Veneto, mentre regioni quali Calabria, Sicilia e Puglia risultano sempre in coda alla distribuzione.

Figura 2.18: Distribuzione territoriale della variabile Posti letto chir. (pro capite)

Figura 2.19: Distribuzione territoriale della variabile Posti letto TI (pro capite)

Figura 2.20: Distribuzione territoriale della variabile Posti letto MI (pro capite)

Figura 2.21: Distribuzione territoriale della variabile Posti letto tot. (pro capite)

2.8 Distribuzione geografica delle spese ospedaliere per igiene e pulizie

In questa sezione analizziamo le spese ospedaliere partendo dai dati di bilancio delle aziende pubbliche forniti dal Ministero della Salute. Nelle mappe delle Figure da 2.22 a 2.25 abbiamo aggregato la spesa media regionale e distinto i colori da verde a rosso in base alla dimensione di spesa. Per omogeneità con le finalità del presente progetto, più il colore tende al rosso minore è la spesa. In questo modo stiamo sottolineando che le regioni che più investono in igiene e pulizie sono anche quelle in cui è maggiore l’attenzione per queste attività e, pertanto, le regioni hanno un’aspettativa minore di incidenza di ICA.

In generale, è più complesso confrontare la Lombardia con le altre regioni per una mera questione di organizzazione del sistema sanitario regionale. Infatti, in regione Lombardia le diverse riforme che si sono succedute dal 1997 hanno via via esternalizzato la gestione ospedaliera dalle ASL e, in questo modo, risulta un numero maggiore di ospedali con bilanci complessivamente minori. Nelle altre regioni, dove invece ancora molti ospedali risultano gestiti in seno alle ASL, le aziende hanno bilanci molto più corposi e una numerosità regionale inferiore. Questo aspetto ha un’implicazione diretta sulla spesa media rappresentata in questa parte della ricerca.

Al netto di questa attenzione, che deve necessariamente essere riservata nella lettura delle mappe, ciò che emerge in modo evidente è un centro Italia che investe in modo più massiccio in tutte le diverse configurazioni della spesa per igiene e pulizia che abbiamo analizzato. Al contrario Nord e Sud Italia evidenziano livelli di spesa inferiori, con situazioni limite al Sud, in particolare in Sicilia e Calabria.

Figura 2.22: Distribuzione territoriale della variabile Pulizia

Figura 2.23: Distribuzione territoriale della variabile Igiene allargata

Figura 2.24: Distribuzione territoriale della variabile Igiene di base

Figura 2.25: Distribuzione territoriale della variabile Costi totali

2.9 Studio della correlazione

In questa sezione osserviamo la correlazione tra le variabili relative all’offerta di posti letto e i costi a bilancio sostenuti dalle Aziende Ospedaliere. In particolare nella Figura 2.26 si osservano le correlazioni con i relativi valori del coefficiente ρ. Questo coefficiente statistico può assumere valori che vanno da −1 a +1 e misura una correlazione positiva o negativa in base al segno e una forza maggiore della stessa in base a quanto il valore che assume si avvicina a 1 (o a –1 in caso di correlazione negativa).

Nel nostro caso le uniche correlazioni forti riguardano i costi, a indicare che, laddove le spese per igiene sono più alte, lo sono in tutte le modalità che stiamo analizzando. Diversa è invece la relazione tra queste spese e le altre dimensioni considerate. Non sembrano esserci, a differenza di quanto ci si potrebbe aspettare, delle correlazioni marcate tra i costi e le tipologie di posti letto. Questo indica che, almeno da questa prima analisi, le dimensioni che dovrebbero corrispondere a dei rischi maggiori di ICA non correlano con una maggiore spesa per igiene e pulizie.

Tabella 2.3: Matrice di correlazione delle variabili del modello econometrico

Figura 2.26: Analisi di correlazione tra le principali variabili analizzate (ρ: coefficiente di correlazione)

2.10 Quale relazione tra spesa per igiene e caratteristiche ospedaliere?

In questa sezione analizziamo attraverso opportuni modelli statistici, la relazione tra le spese dei bilanci delle aziende pubbliche italiane per igiene e pulizia e le principali caratteristiche ospedaliere legate al rischio di ICA. Le prime stime riguardano una serie di modelli di regressione multilevel di tipo longitudinale, che considerano al primo livello l’anno e al secondo livello l’ospedale. Le variabili dipendenti considerate sono:

  1. Pulizia: voce di conto economico

Igiene di base (igbase): acquisto di servizi di pulizia (B.2.B.1.2) più acquisto di materiale di guardaroba, di pulizia e di convivenza in genere (B.1.B.2)

Igiene allargata (igall): spesa per igiene di base più lo smaltimento rifiuti (B.2.B.1.7)

Il modello statistico controlla per l’effetto dimensione dell’A.O. utilizzando tre variabili:

  • costi tot: i costi totali (B) da conto economico
  • posti letto: il numero di posti letto totali per l’AO
  • numero di strutture: il numero di sedi amministrate dall’AO

Dal punto di vista dell’intensità di cura sono invece incluse in ciascuno dei tre modelli:

  • % di posti letto in reparti chirurgici
  • % di posti letto in Terapia Intensiva
  • % di posti letto in reparti di Malattie Infettive
  • DEA e PS: presenza o assenza dei reparti di medicina di emergenza

Il modello econometrico controlla, inoltre, per la presenza dell’università e per l’intensità dell’attività di ricerca svolte nell’ospedale. Questo tipo di strutture potrebbero utilizzare risorse ad alta tecnologia che necessitano particolari sforzi nella pulizia e, soprattutto, nella manutenzione. Nella specificazione è inclusa anche la variabile form (i costi di formazione) come proxy dell’investimento in capitale umano della struttura. Infatti, personale più formato potrebbe essere più efficiente.

Infine, la regressione multilevel contiene tre variabili temporali: 2016, 2017, 2018 e 2019 che indicano il trend temporale di spesa.

Osservando la Tabella 2.4 contenente le stime modellistiche, si evince che, come atteso, le variabili che svolgono la funzione di proxy dimensionale sono statisticamente significative in tutti e tre i modelli. Queste variabili (Costi totali e Totale Posti Letto) hanno segno positivo, a indicare che maggiore è la dimensione dell’ospedale, maggiore è la spesa a bilancio per pulizia. L’unica eccezione è la variabile N. strutture: essa è non significativa in tutti i modelli. Questo significa che la dimensione è già colta dalle altre variabili e pertanto questa non risulta significativa.

Per quanto riguarda l’intensità di cura, la prima anomalia nei risultati è deducibile dall’analisi dei coefficienti relativi alle percentuali di posti letto chirurgici e per malattie infettive. A differenza di quanto atteso, nessuna di queste variabili risulta essere significativa. L’unica significatività (p-value < 0.10) la si osserva per i posti letto in Terapia Intensiva che, come ci si aspetta, è positivamente legata alla spesa per igiene e pulizia.

Le variabili riguardanti il Pronto Soccorso e i dipartimenti di emergenza non sono significative, anche in questo caso, evidenziando una mancata attesa statistica. Infatti, come anticipato, ci si sarebbe aspettato, almeno per i PS ad alta intensità, di osservare una relazione significativa tra questa variabile e il livello di spesa.

Anche il coefficiente relativo agli IRCCS non è significativo, seppure positivo, smontando l’ipotesi attesa di una relazione positiva e significativa. In tutti i modelli (1) e (2) le dummy temporali relative agli anni 2017, 2018 e 2019 sono negative e significative. Ciò implica che, a parità di dimensioni ospedaliere e delle altre caratteristiche per cui il modello è controllato, la spesa in pulizie e igiene è diminuita nel tempo in modo significativo. Questo è un altro risultato poco rassicurante, che evidenzia ulteriormente una scarsa aderenza delle voci di bilancio con il rischio espresso dalle caratteristiche ospedaliere, ma anche un progressivo disinvestimento in questo ambito. Gli effetti marginali della riduzione di spesa nel tempo sono evidenziati nei grafici successivi (Figure 2.27, 2.28 e 2.29).

Tabella 2.4: Modelli multilevel

Figura 2.27: Andamento stimato della variabile Pulizia (a parità di variabili indipendenti)

Figura 2.28: Andamento stimato della variabile Igiene di base (a parità di variabili indipendenti)

Figura 2.29: Andamento stimato della variabile Igiene allargata (a parità di variabili indipendenti)

Capitolo 1

Introduzione

1.1 Il rischio delle infezioni ospedaliere

1.2 Il ruolo della sanificazione degli ambienti ospedalieri

1.3 Analisi della letteratura scientifica

Introduzione

Il presente documento raccoglie i risultati del progetto Le infezioni correlate all’assistenza: studio etiologico dei patogeni e delle sepsi, loro distribuzione territoriale, valutazione dei fattori e dei costi correlati, promosso dall’Organismo Nazionale Bilaterale Servizi Integrati (ONBSI) e condotto da Fondazione per la Sussidiarietà in collaborazione con Sezione di Igiene e Sanità Pubblica, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (Responsabili Scientifici: Fidelia Cascini e Walter Ricciardi).

La necessità di un approccio scientifico e di ricerca al tema delle infezioni correlate all’assistenza, risulta essere un un presupposto necessario di tipo sussidiario che consente di fornire risposte al decisore politico che abbiano una robustezza quantitativa oltre a un’analisi qualitativa.

Il documento è diviso in due parti e, nella prima parte sviluppata dalla Fondazione per la Sussidiarietà, analizza i fattori e i costi correlati alle infezioni ospedaliere, basato sulle voci di bilancio delle aziende pubbliche italiane. La seconda parte del documento, sviluppata dalla Sezione di Igiene e Sanità Pubblica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, riguarda l’inquadramento del fenomeno delle Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA) in Italia, mediante studio etiologico dei patogeni, lo studio delle sepsi e l’analisi della loro distribuzione territoriale.

In generale, il progetto si propone di inquadrare il fenomeno delle ICA in Italia, di analizzare le possibili implicazioni e di fornire suggerimenti per la normativa di riferimento per le pratiche ospedaliere e per gli aspetti giuridici e assicurativi.

Il presente documento contiene, quindi, un inquadramento generale delle problematiche legate alle ICA, i risultati della mappatura delle stesse e l’analisi dei dati di bilancio delle aziende ospedaliere pubbliche italiane che consentono di identificare la relazione tra le scelte economiche del management ospedaliero rispetto alle voci di bilancio connesse al sistema di igienizzazione degli ospedali. La prima parte del documento, riguardante il rischio delle infezioni ospedaliere e il ruolo della sanificazione degli ambienti ospedalieri, prende spunto da Finzi et al (2017), che contiene la relazione ANMDO relativa al progetto per le linea guida sulla sanificazione ambientale per la gestione del rischio clinico e il contenimento delle infezioni correlate all’assistenza reperibile qui.

1.1 Il rischio delle infezioni ospedaliere

Il rischio di contrarre un’infezione durante la degenza in ospedale è uno dei principali problemi legati alla gestione degli ambienti ospedalieri. Le ICA sono tra le complicanze più frequenti che si possono verificare nelle strutture sanitarie, con una stima tra il 5% e il 15% del rischio di sviluppare almeno una ICA durante la degenza.

Un recente studio – di prevalenza eseguito dall’ECDC (European Center for Disease Control) – ha stimato che il 5,7% dei pazienti contrae un’ICA, quindi ogni anno sono 4,1 milioni i pazienti che contraggono un’infezione correlata all’assistenza, e sono attribuibili alle ICA circa 37.000 decessi, oltre a 110.000 decessi per i quali l’infezione rappresenta una concausa. Il trend di questi fenomeni è in aumento, tanto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha assunto il tema della sicurezza del paziente come uno degli obiettivi principali di attività a livello mondiale.

In aggiunta a questo, le ICA hanno un impatto rilevante anche dal punto di vista economico. È sufficiente, infatti, pensare che ogni caso di sepsi determina un prolungamento medio della degenza di 15 giorni, con un aumento di spesa variabile tra 5.000 e 50.000 euro. Risulta pertanto evidente come la possibilità di prevenire e ridurre il numero di ICA attraverso corrette misure di controllo, oltre al chiaro beneficio sanitario, consentirebbe anche un notevole risparmio economico a beneficio di tutto il sistema sanitario.

1.2 Il ruolo della sanificazione degli ambienti ospedalieri

Negli ultimi anni, diversi studi hanno dimostrato che gli interventi di pulizia ambientale possono ridurre le ICA. In tal senso, la sanificazione degli ambienti e le modalità di utilizzo dei prodotti sanificanti sono raccomandate in tutte le linee guida internazionali e nazionali.

Per questo è opportuno definire adeguati protocolli di pulizia per il mantenimento di un elevato livello igienico negli ambienti ospedalieri, diversificando i protocolli in base alle differenti aree di rischio.

Ogni ambiente, infatti, ha uno standard igienico ottimale che è in funzione della destinazione d’uso dell’ambiente stesso e dei flussi di persone che frequentano a vario titolo i locali. In tal senso, l’ospedale può essere diviso in macro aree di rischio infettivo. 

Aree ad altissimo rischio (AAR): ambienti che necessitano di Bassa Carica Microbica e contaminazione attesa controllata per esecuzione di procedure altamente invasive e/o manipolazione di materiali critici. In queste zone gli interventi debbono essere eseguiti sulla base di procedure e istruzioni di sanificazione stabilite da norme sanitarie o da requisiti di accreditamento a esse conformi, nonché sulla base di specifici protocolli interni che indichino mansioni, addetti e responsabili. In queste aree le operazioni di pulizia e disinfezione debbono essere eseguite da operatori dedicati, specificatamente formati, con preparazione di base e di grado superiore per quanto riguarda la gestione degli ambienti dei blocchi operatori, limitando al massimo i casi di turnover del personale.

Aree ad alto rischio (AR): ambienti e aree sanitarie di diagnosi e cura con utenza a rischio o procedure assistenziali invasive, quali aree critiche e degenze ad alta intensità e complessità di cura; degenze con pazienti immunocompromessi o infetti, camere di degenza all’interno di aree sanitarie a medio rischio utilizzate come isolamenti; sale interventistiche eccetto le camere operatorie; ambienti che necessitano di contaminazione controllata per pratiche a rischio, ma senza istruzioni di sanificazione proprie dettate da norme sanitarie o requisiti di accreditamento.

Aree a medio rischio (MR): ambienti e aree coinvolte nei processi di diagnosi e cura senza utenza particolarmente a rischio, o che non prevedono pratiche e procedure assistenziali altamente invasive, quali le degenze normalmente senza pazienti immunocompromessi o infetti; le strutture per diagnosi strumentali, le aree di sosta pazienti esterne a reparti e servizi critici (esempio: sale di attesa e ludiche della pediatria), i locali amministrativi, tecnici, di servizio.

Aree a basso rischio infettivo (BR): ambienti non direttamente coinvolti nelle pratiche assistenziali quali aree amministrative, aree tecniche e di servizio, percorsi di accesso ai servizi, locali amministrativi, tecnici, di servizio e percorsi per l’accesso ai reparti non critici (medio rischio).

Aree a rischio infettivo tendente a 0 (AE/LS): zone ospedaliere non coinvolte nelle pratiche assistenziali quali tutte le aree esterne, le aree interne non di accesso diretto ai servizi; le aree di servizio tecnico.

1.3 Analisi della letteratura scientifica

Per comprendere lo stato dell’arte rispetto alle ICA è necessaria un’approfondita analisi della letteratura scientifica che consenta di avere un’idea complessiva dei progetti conoscitivi che la scienza ha realizzato in questo ambito e quali sono le principali informazioni di contesto che supportano la scelta di studiare questo fenomeno.

L’esame della recente letteratura scientifica consente di confermare quanto già noto in ambito medico-scientifico è cioè che le ICA, ossia quelle infezioni correlate ai trattamenti sanitari che generalmente i pazienti contraggono mentre si trovano in costanza di ricovero (Collins, Hughes, 2008; Cardoso, Almeida, Friedman et al., 2014; Revelas 2012) possono essere di diversa natura ed eziologia. Generalmente sono classificate in base alle sedi anatomiche e tra queste si annoverano ad esempio le infezioni da catetere venoso centrale, le infezioni del tratto urinario associate a catetere vescicale, le polmoniti spesso associate alla ventilazione meccanica, le infezioni del sito chirurgico, le infezioni sistemiche note come sepsi [Prevention CfDCa, 2014]. Le ICA rappresentano una emergenza sanitaria internazionale: dopo le reazioni avverse ai farmaci e le complicanze chirurgiche sono la causa principale di eventi avversi sanitari (Brennan, Leape, Laird et al., 1991; Garrouste-Orgeas, Philippart, Bruel et al., 2012; Leape, Brennan, Laird et al., 1991; Parameswaran Nair, Chalmers, Peterson et al., 2016).

È stato anche segnalato dal Center for Disease Control and Prevention (CDC) degli Stati Uniti d’America che quasi 1,7 milioni di persone ricoverate in ospedale sviluppano ogni anno ICA mentre ricevono cure per altri problemi di salute. Di questi, circa 98.000 casi di decesso sono legati solo alle ICA (Klevens, Edwards, Richards et al., 2002). È stato inoltre segnalato dall’Agenzia per la Ricerca e la Qualità dell’Assistenza Sanitaria (AHRQ) che le ICA sono le complicanze più frequentemente legate alle cure ospedaliere e sono considerate una delle prime 10 cause di morte negli Stati Uniti (Quality AfHRa 2012).

Su cento casi ospedalizzati, sette pazienti nei Paesi sviluppati e dieci pazienti nei Paesi in via di sviluppo contraggono un’ICA (Danasekaran, Mani, Annadurai, 2014). In Europa, la prevalenza varia dal 4,6% al 9,3% (Kim, Park, Jeong et al.,2000; McLaws, Taylor, 2003). Recentemente, un ampio studio europeo ha riportato che ogni anno nell’Unione Europea vengono identificati oltre 2,6 milioni di casi di ICA (Cassini, Plachouras, Eckmanns et al., 2016). A livello nazionale, la prevalenza di ICA in Italia variava dal 6,7% (9.609 pazienti ospedalizzati dal 2002 al 2004 in un gruppo di ospedali italiani) (Lanini, Jarvis, Nicastri et al., 2009) al 10,4% (1.102 pazienti ricoverati dal 2016 al 2018 in un unico ospedale italiano) (Antonioli, Bolognesi, Valpiani et al., 2020).

In termini di fattori di rischio ospedalieri o sanitari di ICA, la durata della degenza ospedaliera, l’uso di dispositivi medici (come catetere venoso periferico, catetere venoso centrale, catetere urinario a permanenza, ventilatore) (Antonioli, Bolognesi, Valpiani et al., 2020), le procedure invasive, la chemioterapia, e l’ubicazione dell’ospedale, aumentano significativamente il rischio di ICA(Lanini, Jarvis, Nicastri et al., 2009). Negli USA queste causano un importante impatto finanziario, con un costo annuale che va dai 28 ai 45 miliardi di dollari oltre che in termini di decessi (Cardoso, Almeida, Friedman et al., 2014; Anderson, 2001; Nuvials, Palomar, Alvarez-Lerma et al., 2015) e di maggiore morbilità e allungamento delle degenze ospedaliere con correlati aumenti dei costi indiretti (Klevens, Edwards, Richards et al.., 2002; Organization WH, 2011). Il costo associato delle ICA in Europa è stato stimato a 5,5 miliardi di euro sulla base del rapporto epidemiologico del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) (Prevention ECfD, 2009). La prevalenza della mortalità dovuta alle ICA varia dall’11% (Hautemanière, Florentin, Hartemann et al., 2011) fino al 38,4% (Souza, Belei, de Mayo Carrilho et al., 2015). Nel 2017, i traumi da incidenti stradali sono stati registrati come la causa favorente più comune per sepsi e letalità sepsi-correlata (Rudd, Johnson, Agesa et al., 2020).

I pazienti traumatizzati corrono inoltre un rischio particolarmente elevato di contrarre ICA (Wallace, Cinat, Gornick et al., 1999) che rappresentano anche una delle principali cause di morte in questi pazienti (Pories, Gamelli, Mead et al., 1991). Inoltre, la popolazione anziana (> 65 anni di età) risulta essere più vulnerabile alle ICA rispetto alla popolazione più giovane in ragione di una ridotta competenza del sistema immunitario e della presenza di molteplici comorbidità (Castle 2000; Kemp, Holt, Holm et al., 2013). L’impatto delle ICA, in termini di diffusione ed esposizione economica, non può dunque essere ulteriormente trascurato e occorre investire in adeguate politiche di prevenzione e gestione del rischio clinico. L’adozione di un approccio sistemico standardizzato sarebbe infatti auspicabile in qualsiasi struttura sanitaria, nonostante le difficoltà metodologiche, tecniche, comportamentali e finanziarie. 

L’ultimo, recentissimo rapporto globale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in materia di infezioni e antimicrobico resistenza (AMR) evidenzia i danni causati a pazienti e operatori sanitari, e fornisce per la prima volta un’analisi della situazione globale dello stato di attuazione delle misure di prevenzione e controllo, e una panoramica delle strategie e delle risorse disponibili per migliorare la situazione. 

Il rapporto, destinato a coloro che siano incaricati di prendere decisioni e di formulare politiche di prevenzione a livello nazionale, subnazionale e di struttura ospedaliera, fornisce inoltre una dimostrazione dell’impatto e del rapporto costo-efficacia degli interventi di prevenzione e controllo indicando priorità e direzioni per l’attuazione di piani efficaci, sottolineando l’importanza dell’integrazione e dell’allineamento di tali interventi con i servizi igienico-sanitari. 

Secondo il rapporto dell’OMS, le ICA sono tra gli eventi avversi più frequenti che si verificano durante l’erogazione dei servizi sanitari. Queste infezioni, molte delle quali causate da organismi multiresistenti, danneggiano pazienti, visitatori e operatori sanitari e rappresentano un onere significativo per i sistemi sanitari, di cui i costi associati sono solo una parte. 

Ogni 100 pazienti ricoverati in ospedali per acuti, 7 pazienti nei Paesi ad alto reddito e 15 pazienti nei Paesi a basso/medio reddito acquisiscono in media almeno una infezione durante la degenza ospedaliera. E fino al 30% dei pazienti in terapia intensiva può essere affetto da una ICA con un’incidenza da 2 a 20 volte superiore nei Paesi a basso /medio reddito rispetto a quelli ad alto reddito. 

Inoltre, 1 caso su 4 (23,6%) di tutti i casi di sepsi trattati in ospedale sono correlati all’assistenza sanitaria; e quasi la metà (48,7%) di tutti i casi di sepsi con disfunzione d’organo trattati nelle unità di terapia intensiva per adulti ha origine nosocomiale.

Sulla base dei dati 2016-2017, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) ha calcolato che 4,5 milioni di episodi di ICA si sono verificati ogni anno in pazienti ricoverati negli ospedali per acuti nei Paesi dell’Unione Europea e dello Spazio economico europeo (UE/SEE). Il problema dell’infezione e della diffusione della resistenza antimicrobica non risparmia le strutture di assistenza a lungo termine in cui l’ECDC ha stimato che si verificano ogni anno 4,4 milioni di episodi di ICA nei Paesi dell’UE/SEE. L’impatto delle ICA e della connessa AMR sulla vita delle persone è incalcolabile: nei Paesi dell’UE/SEE, l’onere delle 6 ICA più frequenti in termini di disabilità e mortalità prematura rappresenta il doppio dell’onere di altre 32 malattie infettive messe insieme. 

Secondo l’OCSE, l’attuazione di un pacchetto comprendente una migliore igiene delle mani, programmi di gestione degli antibiotici e una maggiore igiene ambientale nelle strutture sanitarie ridurrebbe l’onere sanitario delle infezioni e dell’AMR dell’85%, producendo al contempo un risparmio di 0,7 euro pro capite all’anno. L’igiene delle mani e l’igiene ambientale delle strutture sanitarie, sono risultate essere gli interventi più utili e convenienti arrivando fino a dimezzare il rischio di morte da patogeni resistenti e a ridurre di almeno il 40% l’onere sanitario.